Il silenzio è cosa viva” di Chandra Livia Candiani ha come sottotitolo “L’arte della meditazione”, con un chiaro riferimento alla pratica del Buddhismo da parte dell’autrice. il silenzio è cosa viva si può definire, con un’espressione nietzschiana, “un libro per tutti e per nessuno”. Esso sfugge alle etichette e proprio per questo spinge un po’ più in là la percezione della realtà, la coscienza individuale e il livello di libertà e di scelta. Il libro è anche un magnifico esempio della prosa di un poeta. Lo fanno essere tale la cura della parola, la struttura della sintassi, il ritmo del discorso, il ricorso a procedimenti poetici. Segno di stile sono gli aneddoti, la citazioni e l’inserimento di testi poetici prodotti dai bambini, nei corsi di poesia da lei tenuti nelle scuole.
Il Buddhismo per gli altri
Chandra Livia Candiani, per esperienze e scelta, ha maturato una vera e propria adesione al Buddhismo, ed è di Buddhismo che lei parla in questo libro, ma per chi non è buddista. Il libro comunica una dimensione che fa parte della condizione umana in quanto tale, a prescindere dalla fede. Con un andamento leggermente narrativo, la scrittrice accoglie il lettore alla soglia del libro come un’ospite sulla soglia di casa e lo introduce nella stanza della meditazione. Con un’avvertenza: “non si tratta di chiudere fuori il mondo”, ma di “Essere tutti lì dove siamo”. Descrive la stanza e dai dettagli concreti ha inizio inavvertitamente quel viaggio che lei compie da trent’anni per “imparare a essere qui”. Soltanto “Ci vuole del tempo e qualche indicazione perché ci si risvegli a dove è il corpo”. E “man mano che ci apriamo a essere dove è il corpo e a sentire come stiamo in quel momento, il qui si dilata, diventa immenso,… fino a farci assaporare la spaziosità fondamentale in cui abitiamo, non solo la spaziosità della coscienza ma quella dell’universo stesso”.
Chi scrive svolge davanti ai lettori questo suo viaggio, porta dentro la sua interiorità, e così facendo induce un percorso simile anche in chi legge. Tutto è meditazione: “Una stanza vuota insegna a essere contenitore vuoto, ma pronto, capace, accogliente”. I gesti che liberano sono: “inchinarsi” e “chiedere rifugio”. Accogliere l’irrequietezza, assumere una postura che radichi e apra, a partire dal respiro e dal corpo, “senza identificazione e insieme senza scissione”. Tutto ciò evitando le narrazioni e le auto-narrazioni della mente.
Silenzio come mezzo espressivo
Chandra Candiani descrive le sensazioni fisiche, ne narra l’evoluzione, insieme a lei si avverte via via l’aderire alla terra e il fluire del respiro, il contatto con il corpo e l’attenzione a ciò che ci circonda. Si percepisce l’ascolto e l’attesa, fino al sorgere del sentimento di essere e di conoscenza altra rispetto a quella concettuale. Conoscenza che, con un’espressione presa da Emmanuel Levinas, si può dire che assomigli piuttosto a una carezza, “qualcosa che viene afferrato. Qualcosa che sfiora senza prendere, qualcosa che scorre. La carezza è ‘marcia verso l’invisibile’, perché la carezza ‘non sa cosa cerca’.” Alla fine si scopre che l’approdo non è una pace priva di scosse ma la consapevolezza che la sofferenza c’è. La ricerca non è rivolta a uscire dalla vita quotidiana, ma a entrarci consapevolmente, cosicché la meditazione è non un anestetico, ma una via per entrare più in intimità con quello che ci accade.
La stanza della meditazione ricorda da vicino “Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf. Come quella rivendicava non solo ,“una stanza tutta per sé per poter scrivere” ma al contempo de-costruiva secoli di cultura patriarcale. Così questa stanza della meditazione non solo “è molto simile allo spazio del cuore”, ma si spinge oltre i limiti della cultura occidentale per trovare in altre culture le parole per superare le nostre “separatezze”. “Si tratta di coltivare la mente-cuore. Di cercare una cultura della non “separatezza”, del nesso”. Meditare allora non è fare il vuoto intorno a noi. Anzi: è non separare i mondi, non dividere quel che viene considerato spirituale da quel che si ritiene ordinario. I gesti quotidiani di cucinare, lavare i piatti, telefonare, pulire, leggere possono infatti diventare forme di preghiera. “Lasciare spazio intorno ai gesti ordinari, dargli una stanza, li fa brillare, permette che aprano un varco nell’oscurità in cui di solito viviamo, nel nostro quotidiano sonno. Allora, pian piano, si ricevono le visite: sono i miracoli del “noto” e si impara a sostare dentro di sè, consapevolmente, in silenzio.
Il valore del silenzio
Ne “Il silenzio è cosa viva” ci sono infinite varietà di silenzio. Ogni silenzio dice qualcosa. Nello stesso tempo, il silenzio è solo silenzio. Non esiste il silenzio mio o tuo. Fare silenzio insieme è una profondissima comunione. Le diverse esperienze di vita, i diversi stati d’animo possono creare complicità o avversione, il silenzio consapevole unisce. Il silenzio sa. Nel silenzio si impara. Non tutti i silenzi sono uguali. Il silenzio è cosa viva.” Si è soliti attribuire al silenzio una valenza negativa fatta di solitudine e tristezza; ma il silenzio è necessario per riposare, per leggere, per scrivere, per studiare, per pregare, per meditare, per dormire.
Si ha necessità di percepire se stessi attraverso le vibrazioni che arrivano dal proprio interno e quando “si spegne il rumore tutto diventa più nitido. E allora eccolo il silenzio, è lì solo in attesa di essere scoperto, di essere ascoltato e, credetemi, una volta instaurato un corretto dialogo sarà impossibile farne più a meno. Il silenzio parla, urla, canta, ride e sorride, sogna, pensa”. Il silenzio è la cosa più viva dell’essere umano.Un saggio in cui il silenzio comunica a gran voce.
di Anna Maria Laurano