“Storytelling” di Salomon: la recensione

Un addestramento militare e uno stage di formazione aziendale.

Non sono destinati allo stesso pubblico e non perseguono lo stesso obiettivo. Il primo è rivolto alle truppe americane di stanza in Iraq, il secondo ai dirigenti di una multinazionale. L’uno prepara i soldati ad affrontare minacce sconosciute in una situazione di guerra asimmetrica contro il terrorismo, l’altro ad adattarsi all’imprevisto, “sola certezza del manager in un mondo globalizzato”.

Un videogioco e uno stage

Il videogioco ES3 ha lo scopo di attivare risposte rapide e autonome in un ambiente ostile. Fa uso, per questo, delle tecniche del video gioco interattivo. Lo stage di formazione della leadership, invece, pretende con la sola magia di un racconto di far accettare l’idea che “uno sconvolgimento nell’azienda può avvenire senza conflitto, né egoismo, né tensione”. L’uno serve a respingere il nemico; l’altro ad accogliere il cambiamento.

Lo storytelling

Che cos’ hanno allora in comune il comando militare e la leadership, la guerra e la gestione di un’impresa? Scelti in due settori il più possibile lontani, questi due esercizi derivano tuttavia da una stessa tecnica, apparsa negli USA a metà degli anni 90: lo storytelling ovvero l’arte di raccontare storie. 

Da allora è stata declinata secondo modalità sempre più sofisticate, nel mondo del management come in quello della comunicazione politica. Essa fa uso di tipi di narrazione molto diversi, dal racconto orale come lo praticavano i cantastorie fino al digital storytelling, che pratica l’immersione virtuale in universi multi sensoriali basati su sceneggiature.

Lo scopo dello storytelling  contemporaneo

Manager e militari dovrebbero dunque raccontarsi delle storie… ma a che scopo? A fini d’istruzione, di formazione? Ma perché chiamare le storie a svolgere un ruolo che fino ad allora era stato della disciplina (nell’esercito) o della consulenza aziendale( nell’impresa)?

Perché due istituzioni così sottomesse al principio di realtà dovrebbero improvvisamente obbedire a finzioni efficaci e a racconti utili? E da quando? “I manager sono tenuti a raccontare storie per motivare i lavoratori, i medici sono formati per ascoltare le storie dei loro pazienti”.

Anche i reporter hanno aderito al giornalismo narrativo e gli psicologi alla terapia narrativa.

Non più riservato ai bambini

Lo storytelling a lungo considerato come una forma di comunicazione riservata ai bambini, praticata esclusivamente nelle ore di svago e analizzata solo da studi letterari ( linguistica, retorica, grammatica testuale, narratologia ecc.) sta conoscendo in effetti, negli USA, dalla metà degli anni 90, un successo sorprendente, che è stato definito come un trionfo, una rinascita o ancora un revival.

Una forma di discorso che si impone in tutti i settori della società e trascende i confini politici, culturali o professionali, realizzando quello che i sociologi hanno chiamato il “ narrative turn”, poi paragonato all’ingresso in una nuova epoca: “ L’epoca narrativa”.

Ma è poi così nuovo ?

L’arte di raccontare storie è nata quasi in contemporanea con la comparsa dell’uomo sulla terra e ha costituito un importante strumento di condivisione dei valori sociali. Ma, a partire dagli anni Novanta del Novecento, questa capacità narrativa è stata trasformata dai meccanismi dell’industria dei media e dal capitalismo globalizzato nel concetto di storytelling: una potentissima arma di persuasione nelle mani dei guru del marketing, del management, della comunicazione politica per plasmare le opinioni dei consumatori e dei cittadini.

L’impero si è appropriato della narrazione.

Questo è la novità dello storytelling, questo l’incredibile blocco dell’immaginario che Christian Salmon ci vuole raccontare. È triste leggere il libro di Christian Salmon perché mette a fuoco e organizza idee che ci stanno addosso e ci infastidiscono e di cui ci siamo resi conto più o meno chiaramente negli ultimi dieci anni: l’arte di narrare storie è stata manipolata e ridotta a strumento scientifico di persuasione, di propaganda, di manipolazione, nelle mani della politica e – soprattutto – degli uffici marketing e di management delle aziende.

Tutto è storia

Tutto è una “storia”: il lancio di un prodotto, il servizio che offre l’azienda; il modo in cui tratta i propri dipendenti e i propri clienti, la giustificazione per l’uso del lavoro precario. Esemplare, nel primo capitolo del libro di Salmon, per es., la ricostruzione di come la Nike abbia superato le difficoltà derivate dalle accuse di usare manodopera sfruttata nei paesi poveri, con una serie di narrazioni e contronarrazioni: nel caso Nike come in decine di altri, il lavoro di manager e consulenti è trasformare i prodotti in storie e convincere qualcuno a pagare per sentirsi parte di questa storia.

Le grandi narrazioni che hanno segnato la storia dell’umanità da Omero a Tolstoj e da Sofocle a Shakespeare, raccontavano miti universali e trasmettevano le lezioni delle generazioni passate, lezioni di saggezza, frutto dell’esperienza accumulata.

La narrazione era strumento di crescita, di relazione con l’altro, con il diverso, era dia-logos, metteva in crisi e perciò faceva crescere, aumentava la realtà dell’esistenza e dell’esistente perché è nell’accogliere la differenza che si stabilisce una vera relazione e si arriva ad una più profonda conoscenza di sé e della realtà.

Dal racconto del passato all’orientamento delle emozioni

Lo storytelling percorre il cammino in senso inverso: incolla sulla realtà racconti artificiali, blocca gli scambi, satura lo spazio simbolico di sceneggiati e stories, in realtà aumentate virtualmente, dove il virtuale si confonde col reale e la relazione diventa sempre più solipsistica, conformante, annullante. Non racconta l’esperienza del passato, ma disegna i comportamenti, orienta i flussi di emozioni, sincronizza la loro circolazione. […]

Lo storytelling costruisce ingranaggi narrativi seguendo i quali gli individui sono portati a identificarsi in certi modelli e a conformarsi a determinati standard. Secondo Salmon l’efficacia dello storytelling ha assunto tutta l’attuale forza grazie alla propagazione in rete: i siti istituzionali, ma soprattutto i blog, le webzine sono diventati i venditori ambulanti delle stories: “perché il loro fascino ci spinge a ripeterle”.

La macchina narrante

L’autore ci mostra gli ingranaggi della grande “macchina narrante” che ha rimpiazzato il ragionamento razionale, ben più pervasiva dell’iconografia orwelliana della società totalitaria.

Ma questo nuovo ordine narrativo non è un semplice linguaggio mediatico: il soggetto che vuole influenzare è un individuo immerso in un universo fittizio che ne filtra le percezioni, ne stimola le sensazioni, ne inquadra i comportamenti e le idee, gli individui sono portati a identificarsi in certi modelli e a conformarsi a determinati standard. Una proliferazione inquietante.

di Anna Maria Laurano

AUTORE: CHRISTIAN SALOMON

TITOLO: “STORYTELLING: LA FABBRICA DELLE STORIE”

EDITORE: FAZI

COLLANA: LE TERRE

PAGINE:214

L’AUTORE: CHRISTIAN SALOMON

Scrittore, è membro del Centre de Recherches sur les Art set le langage. Nel 1993 ha fondato, con la collaborazione di più di 300 intellettuali provenienti da tutto il mondo ( tra cui J. Derida, T. Morrison e gli italiani Antonio Tabucchi, Claudio Magris, Vincenzo Consolo), il Parlamento internazionale degli scrittori. Autore di diversi volumi, in italiano sono stati tradotti Intervista con Milan Kundera, Diventare minoritari, per una nuova politica della letteratura. Dopo l’uscita di Storytelling in Francia, gli è stata affidata una rubrica su “ Le Monde” per parlare proprio del fenomeno descritto nel libro.