Si attribuisce a Confucio l’aforisma secondo cui l’amore eterno dura tre mesi, in effetti le statistiche non potrebbero che confermare l’impietosa sentenza del filosofo, ma nemmeno possono dimenticarsi le storie di amori imperituri che in ogni tempo, perfino nel nostro, dove pure i sentimenti soffrono di respiro corto hanno fatto dell’amore una tenace (talvolta eroica) ragione di vita.
A queste storie deve aver pensato Lorenzo Marone nel concepire il suo romanzo “Sono tornato per te” (Einaudi stile libero). Una vicenda raccontata con piglio ed essenzialità da un autore che non finisce di stupire il suo pubblico. “Sono tornato per te” è due storie in una: quella d’amore tra Cono Trezza e Serenella Pinto, due giovani ragazzi del Vallo di Diano; e quella di Cono e le tantissime altre persone deportate nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale.
La prima parte del romanzo è piuttosto idilliaca, serena e sentimentale, scossa solo dai colpi di testa di Cono, impulsivo e geloso di Serenella. Il paesaggio è bello e carico di fascino: “Sul vallo s’erano posate nuvole cariche di umidità, dei campi si vedevano solo i primi filari, le strade di campagna sparivano silenziose dietro una curva, tagliavano i poderi, dalle fattorie salivano i versi degli animali, un debole abbaio, il canto incerto di un gallo, la pioggia pareva a un passo, e le finestre delle case erano velate di un grigio sporco, nello sguardo la gente portava la stanchezza d’una stagione quanto mai lunga e fredda.
”Cono giovane figlio di contadini, è un personaggio chiaro, definito, interessante nel contrasto tra il suo animo gentile, leale e buono e il suo temperamento impulsivo, specchio di un senso di giustizia chiaro, ma anche di un’impotenza che però non è mai tale da fargli abbassare la testa. “Gli era stato insegnato a essere cortese, ma Cono il dominio di sé spesso lo perdeva, era ancora giovane e impetuoso… Peccava in sentimenti esasperati, e molto in orgoglio, non pensava che a scendere in guerra, se ferito, senza preoccuparsi delle implicazioni. ”Amava la vita dei campi, già da bambino sapeva dar da mangiare alle galline, mungere le vacche, e a sedici anni compiuti aveva per la terra la stessa vocazione che riservava ai proprio genitori. Aiutare suo padre era naturale e appagante.
“Altra felicità non c’era fino al giorno in cui, ne scoprì un’altra di felicità: quella che risiedeva negli occhi di Serenella, quindicenne sbocciata da un giorno all’altro e da cogliere subito, prima che la prepotenza e l’arroganza di Romano, figlio del podestà, potesse strapparla dal terreno dell’innocenza”. “Serenella sembrava una dea, una sacerdotessa, o forse una fattucchiera, che con un incantesimo gli aveva ingarbugliato la lingua e il corpo, tanto che non era più capace di parlare né di muoversi. I suoi lunghi capelli neri ricci erano una massa scura sul punto di esplodere, guardarli era una festa.
Nei suoi occhi neri ci si smarriva, la sua pelle assumeva nelle pieghe il colore dell’ebano, e sul viso sfumava in tinte auree, solo a vederla, faceva venire in mente l’estate! Sul viso fiero aveva l’audacia tipica dei maschi”. Tutto normale? Non proprio perché i tempi sono quelli che sono e il fascismo avanza con tutto il suo carico di prepotenza e di sopruso.
E dopo i giorni segnati dal silenzio di una neve fitta scesa per far riposare i campi, o quelli in cui a suonare era la musica del vento nel mare d’erba pronto a ballare la sua ultima danza prima di mutare colore e volgere il capo alle mietitrici, arrivarono i giorni colorati di nero dalle camicie dei fascisti e di rosso per il sangue che iniziò a sporcare i manganelli dei prepotenti.
Stufo di subirne l’arroganza, Cono si ribella, compiendo un gesto che la sua famiglia pagherà a caro prezzo. Per Cono il servizio militare sarà la salvezza, ma anche il corridoio che lo porterà a solcare l’ingresso in un campo di concentramento e qui inizia la seconda parte. Tutto si fa più struggente e si spiega perché: la prima parte del libro, così idilliaca, è funzionale a immergere il lettore nella vita di Cono: nel suo amore e nella sua fede per la terra; nell’innamoramento verso Serenella; nella sua fedeltà alla famiglia.
Se non si assaporasse la vita per come la vive Cono, dopo non si potrebbe soffrire e sperare insieme a lui. E’ sicuramente questa la forza del libro: la capacità di creare due affreschi più che due storie: quello lento, colorato e profumato del Vallo di Diano e quello veloce, incolore e maleodorante del campo di concentramento.
Nel lager a tenere in vita Cono, saranno la speranza di rivedere Serenella, l’aiuto di un compagno di prigionia dal cuore grande e la sua abilità nel tirare di boxe. “Sono tornato per te” racconta infatti la storia di chi sul ring ha potuto sfogare la propria rabbia e urlare il proprio dolore, ma senza la libertà di emettere un grido.
L’evoluzione del giovane però non potrebbe avvenire se non fosse per i suoi mentori: suo padre e gli altri contadini nella prima parte(funzionali nel lasciargli gli insegnamenti che lo guideranno per tutta la vita);Palermo e il professore pittore, entrambi deportati, nella seconda. Palermo, compagno di prigionia lo sosterrà non proferendo mai un lamento, ma solo consigli volti a spronarlo e a non fargli perdere i ricordi a cui aggrapparsi per andare avanti.
L’uomo tace volentieri sul suo passato ma dall’esperienza della sua età adulta, ricorda spesso al suo amico che «qui dentro di eroi non ce ne stanno» perché anche nel campo di concentramento Cono fatica a contenere l’istinto di aiutare chi è in difficoltà, pur rischiando a sua volta la vita. Palermo lo aiuta a tornare con i nervi saldi: “Galletta, tu sei troppo giovane e mo’ tutto te pare bianco o nero, ma vedi che non è così. ogni giorno qui dentro da vivi è un giorno guadagnato, e questo dovemo fa’ noi, no? dovemo campa’, perché che ne sai domani che succede? Insomma, dentro al campo le questioni di principio vanno abbandonate; occorre maturare una strategia per sopravvivere.
I quadri del professore invece, così pieni di luce gli restituiscono il ricordo della grazia, della bellezza della sua terra e della sua donna che la prigionia aveva cancellato. “Cono gli dedicò uno sguardo ammirato, si chiedeva come facesse a conservare un così vivido ricordo di quei luoghi lontani, come se tutto il male della prigione, il grigiore, non fosse riuscito a togliergli dal cuore il bello vissuto”e il professore gli confida che “imparare a vedere è stato il tirocinio più lungo ed ora non posso disimparare questo è il mio modo per non dimenticare, è come tenere un diario… la bellezza che riusciamo a conservare dentro, amici miei, è un oltraggio per i tedeschi. ”Cono dunque sfida a pugni l’orrore, gli aguzzini, la morte. Lo fa pensando alla propria famiglia, a Serenella che lo aspetta: “per tutti loro avrebbe resistito, e per lei un giorno sarebbe tornato”.
E se, come dice il professore-pittore, “se proprio dovesse capitarmi di morire, non cercarmi lassù, e aveva indicato il cielo, ma qui nei dintorni, tra i campi e tra gli alberi, accanto a te perché è lì che mi troverai. Morire è solo non essere più visti… tornerò anche se dovessi morire. La morte è solo non essere più visti” e la memoria per chi sa custodirla, è essa stessa radici, restituisce la vita a ciò che non c’è più, a chi non c’è più.
“Sono tornato per te” è un libro delicato, anche nelle scene più crude. È un libro intenso nei sentimenti, in cui l’amore coincide con la vita, vincendo sulla efferatezza e sulla morte. È un libro che parla di ricordi e che si racconta attraverso di essi sia come memoria collettiva (la storia e le storie), sia come memoria individuale del protagonista, che vi si aggrappa per non perdere la speranza come a ricordarci che il frutto del domani sta sempre nel seme di ieri.
autore: Lorenzo Marone
categoria : narrativa italiana,
casa editrice: Einaudi
anno di pubblicazione:2023
di Anna Maria Laurano