Durante il lungo e complesso intervento di restauro e consolidamento strutturale del Palazzo vescovile, tante e importanti sono state le scoperte sia di carattere architettonico che decorativo che hanno permesso di conoscere più approfonditamente la complessa storia evolutiva dei tre antichi edifici che lo compongono. Dopo la conclusione del restauro e il recupero delle decorazioni murali che nel tempo erano state ricoperte da strati di scialbo il secondo piano del palazzo è tornato alla sua originaria funzione di residenza del vescovo. I lavori sono continuati con il recupero del primo piano che è stato interamente destinato ad ospitare il nuovo Museo Diocesano.
Sala Magna
A questo livello, più antico rispetto a quello superiore, nella stanza attigua alla Sala Magna detta “del Fogolino” che si affacciava a Sud tramite una loggia aperta verso il giardino, sotto diversi strati di scialbo è emerso un notevole e inaspettato ciclo di affreschi risalente nella parte superiore al secolo XVI e nella parte inferiore al secolo XVII. Allo stato attuale la decorazione che interessa le pareti dell’intera sala è individuabile solo attraverso alcuni piccoli saggi esplorativi concordati con la Soprintendenza, in attesa di un progetto organico e di un definitivo intervento di restauro della sala. Nella parte alta sono distinguibili figure isolate su sfondi paesaggistici le cui iconografie, seppure ancora poco leggibili per le limitate porzioni indagate, sono riconducibili alle Virtù, come suggerisce la figura della dea Diana con lancia e luna sul capo, simbolo di Castità, realizzata in stucco a bassorilievo contenuta in un medaglione ovale collocato al centro della volta. Sulla parete Ovest è emersa una figura femminile che per i dati iconografici è riconducibile alla matrona Lucrezia Romana, simbolo di perfezione femminile, nell’atto di suicidarsi dopo aver subito violenza da parte di Sesto Tarquinio, sulla parete Nord invece è distinguibile la figura di Davide che uccide Golia modello di coraggio. Nella parte bassa, su un alto zoccolo definito da una cornice a dentelli e realizzato su un livello di intonaco sovrapposto a quello del registro superiore, sono dipinti in sequenza stemmi (riconoscibile quello di Papa Innocenzo XI Odescalchi -1676-1689), brani di paesaggio inseriti in clipei, elementi architettonici, emblemata.
Per quanto è desumibile dai saggi, possiamo attribuire con una certa sicurezza il registro superiore al pittore Marcello Fogolino o al fratello Matteo mentre la presenza dello stemma di Innocenzo XI fa risalire la realizzazione della parte bassa al tempo del vescovo Giuseppe Sallustio Fadulfi (1685-1699). L’attribuzione degli affreschi al Fogolino è suggerita oltreché dal confronto di alcuni elementi stilistici e iconografici che mettono in relazione i piccoli brani di affresco analizzati con alcune opere a tema biblico e mitologico dipinte dal Fogolino nel Castello del Buonconsiglio e nel Palazzo delle Albere di Trento, anche per l’affinità con la gamma cromatica degli affreschi dell’attigua Sala Magna di Palazzo Roverella dove sono rappresentati tredici episodi delle Storie di Mosè.
La scoperta
La sicurezza attributiva di questa sala è diventata inoppugnabile solo dopo la scoperta della firma autografa e della data di esecuzione del ciclo ad affresco delle storie di Mosè – MDXXXXVII MARCELLUS FECIT – che riuscii ad individuare nel 2013 durante la fase di ricerca storica e l’analisi delle singole scene bibliche in preparazione del mio intervento al Convegno “Le Giornate della Storia. Ascoli nel cinquecento, giostre, palio, rime e ‘nzegne”, con il titolo “Il Ciclo pittorico di Marcello Fogolino nella Sala Magna del Palazzo Roverella di Ascoli Piceno”.
L’importante scoperta, (la firma era stata cercata invano per oltre tre secoli), fu presentata il 15 Novembre dello stesso anno, ufficializzata dalla stampa e pubblicata insieme all’analisi generale dell’opera del pittore vicentino negli Atti del Convegno e successivamente più volte ripresa da altri studiosi. Dopo quella scoperta bisogna ripensare il periodo di permanenza dei Fogolino in Ascoli, in quanto sembra improbabile che in poco più di un anno (tra il mese di Marzo del 1547 e l’Agosto del 1548) abbia potuto dipingere le due sale del Palazzo, ma anche le sedici tele raffiguranti le Storie dei santi Cosma e Damiano che incorniciano la Madonna dell’arco dipinta da Cola dell’Amatrice per la chiesa dei Santi Medici di Mozzano.
Il pittore vicentino, bandito nel 1537 per omicidio dalle terre della Repubblica veneta, era venuto in città al seguito del vescovo Filos Roverella (1518-1550) che lo aveva conosciuto a Trento durante il Concilio mentre affrescava alcune sale del Castello del Buon Consiglio per il Cardinale Bernardo Cles (1485-1539). Le iscrizioni, difficilmente individuabili, sono dipinte al centro della parete Ovest nella scena della caduta della manna e delle quaglie dal cielo, sulla cimasa di due tende da campo, sulla prima si legge la data MDXXXXVII e sulla seconda la firma MARCELLUS.FECIT. Questa è l’unica parete dove una cariatide e un telamone sostituiscono la serie di paraste che inquadrano tutte le altre scene dipinte sulle pareti della sala. Gli affreschi con le Storie di Mosè erano stati attribuiti a Marcello Fogolino solo sulla scorta degli elementi stilistici e della sigla MFV citata nel 1724 dal Lazzari e dall’Orsini nel 1790 e mai trovata, da Giuseppe Marchini nel 1966.
di Michele Picciolo