Entrare nella mente di Samuel Beckett è il sogno di chiunque abbia assistito alla messa in scena di una sua opera. Un’immaginazione così divergente e inarrestabile da trasformare il silenzio più oscuro e denso dell’animo umano in un palcoscenico di voci interiori che danno corpo alle domande schivate per una vita. “L’ultimo atto del signor Beckett” (Voland, 2022, traduzione di Daniele Petruccioli) è un romanzo appassionato, appassionante e sontuoso: l’anamnesi psicologica plausibile di un uomo avvezzo agli sbagli, agli abbagli, come del resto alla reverie e alla rivelazione.
Quindi uomo-paradigma suo malgrado della grandezza chiaroscurale che segna sottotraccia l’essere umano. Al suo esordio come romanziera, ciò che Maylis Besserie racconta nel suo romanzo su Beckett è in parte vero, in parte inventato, perché come specifica lei stessa: “Samuel Beckett è senz’altro esistito, e ha senz’altro finito i suoi giorni in una casa di riposo chiamata Tiers-Temps, a Parigi, città in cui viveva in esilio da cinquant’anni. Ma il mio resta un romanzo (…) Ho voluto, basandomi su fatti reali e immaginari, fare di Beckett un personaggio che affronta la sua fine, come i tanti di cui è costellata la sua opera”.
Besserie immagina e racconta l’ultimo periodo di vita di Samuel Beckett, trascorso effettivamente nella casa di riposo di Tiers-temps a Parigi, dove questi morì nel 1989. Beckett è stato un personaggio di primissimo piano nel panorama intellettuale del Novecento: scrittore, drammaturgo, poeta, sceneggiatore nonché Premio Nobel per la Letteratura nel 1969. L’autrice si dimostra audace nel confrontarsi non solo con uno dei più grandi letterati dell’ultimo secolo, ma soprattutto con un uomo difficile da decifrare, vuoi per la natura solitaria e refrattaria alle interviste e alla celebrità, vuoi anche per l’intima consapevolezza del dramma insito nell’esistenza, percezione che anima tutta la sua opera.
Questo libro non è però soltanto una biografia: l’idea che sta dietro a “L’ultimo atto del signor Beckett” è molto più sottile e ingegnosa. In esso si prova infatti a immaginare il finale della vita dello scrittore. Con una massiccia dose di humour e di tenerezza, Maylis Besserie ci rivela uno stupefacente Beckett in attesa del suo finale di partita e un’emozione sempre più forte si impadronisce del lettore, man mano che il romanzo accompagna il grande irlandese verso l’ultimo dei suoi silenzi.
Tutti i lavori di Beckett, infatti, da “Aspettando Godot” a “Finale di partita”, dalle poesie ai romanzi fino alle lettere, trattano proprio della finitezza del corpo, della mancanza di una spiegazione all’esistenza, dell’attesa per questo inevitabile e ingiustificabile finale che è la morte.
Oltre che per l’originalità dell’idea che sta dietro al romanzo, Besserie è particolarmente abile nell’utilizzare continui cambi di prospettiva, raccontando le vicende prima dal punto di vista di Beckett, poi da quello di personaggi quali dottori, infermiere, visitatori che si avvicendano attorno all’anziano scrittore. In questo modo l’autrice evidenzia il progressivo e inesorabile collasso della realtà attorno al protagonista: Beckett è vecchio e malandato, il suo corpo non risponde più ai comandi e ai desideri di una mente ancora lucida; la sua dimensione diventa sempre più ristretta, scomoda, opprimente via via che gli risulta impossibile passeggiare, curarsi autonomamente della propria igiene, scrivere o allacciarsi le scarpe da solo.
In contrapposizione il mondo interiore si espande a dismisura: il tempo si dissolve e con esso la struttura che sorregge e distingue i ricordi. La mente di Beckett inizia a popolarsi dei fantasmi di una vita: James Joyce, maestro, amico, ma anche ossessione letteraria per sfuggire alla quale dovette abbandonare la lingua madre e iniziare a scrivere in francese; la mamma May, donna dispotica, mai davvero amata e ai suoi occhi colpevole soprattutto di averlo messo al mondo; i personaggi dei suoi libri; l’Irlanda da cui ha sentito l’esigenza di fuggire, e così via.
Cosa resta dunque, alla fine?
L’assoluto silenzio da una parte e il fantasmagorico mondo della lingua e dei simboli dall’altra, un chiaro richiamo al romanzo “L’innominabile”, uno dei capolavori scritti dall’autore irlandese. Pensare che questa sia soltanto la storia di Beckett però è un errore prospettico: benché ogni finale sia a suo modo unico, le modalità sono sempre le medesime; l’esistenza pone a tutti le stesse domande, con le quali ognuno di noi è tenuto prima o tardi a confrontarsi. È quindi la storia di ogni finale, di ogni uomo o donna che si trovi ad affrontare la vita, la vecchiaia e la propria inequivocabile finitezza; perciò il libro è abitato da fantasmi che sono di Beckett ma che finiscono con l’essere di tutti.
Autore: Maylis Besserie
Genere: Storie vere
Categoria: Narrativa Straniera
Casa editrice: Voland
Anno di pubblicazione: 2022
di Anna Maria Laurano