“Le vite nascoste dei colori”: la recensione
Laura Imai Messina torna al romanzo con una storia luminosa e potente come un talismano, che ha il dono di guarire tutte le ferite. Comprese quelle dell’anima. Leggendolo ci si chiede: “Qual è il nostro colore? Qual è il colore delle persone intorno a noi, delle persone che amiamo? Abbiamo un unico colore, oppure cambia a seconda di come ci sentiamo?
Nel romanzo l’autrice usa uno stile che sembra un pennello a punta fine, pronto al cesello, ma anche capace di sfumare determinate scene come in un acquerello impalpabile ed evocativo perché, tanto i dettagli, quanto le atmosfere contano per portarci in un altro mondo, dove anche i colori recano nomi per molti versi sconosciuti in Occidente, ma estremamente affascinanti
La protagonista, Mio è una bambina speciale con un dono inusuale.
A causa di una mutazione genetica che colpisce una ristretta percentuale di individui di sesso femminile, la sua retina dispone di un numero superiore di recettori e, rispetto ad una persona normo-dotata, la sua vista è “tetracromatica”, ovvero con uno spettro di percezione elevata al quadrato.
Ispirandosi a Kandinsky e alla sua sensazione che “ogni colore vive la sua vita misteriosa”, anche Mio fa della sua esistenza la ricerca minuziosa del colore cucito addosso ad ogni persona, nell’ossessivo tentativo di scoprirne sempre di nuovi.
“Solo il colore, per Mio, era precisione”.
Aveva appreso l’arte dei dettagli invisibili guardando danzare ago e filo sui kimono da sposa, e ora i colori sono il suo alfabeto, la sua bacchetta magica, il suo sguardo segreto. Con il passare del tempo, si rende conto però che, se fosse stato vero che le persone nascevano con un colore addosso, già presente nel loro DNA, sarebbe stato altrettanto vero che le “esperienze del mondo” erano capaci di modificarne radicalmente le sfumature.
Mio era destinata a cambiare, a ridestarsi dall’illusione di aver scoperto tutto, perché come le diceva sempre sua madre “in fondo è esattamente ciò che non sai di una persona a farti innamorare di lei. Cerca di trovare anche tu qualcuno di cui non sai quasi nulla. Ne rimarrai innamorata tutta la vita”.
L’incontro con Aoi
Il suo dono così la conduce inevitabilmente all’incontro con Aoi, il suo opposto, il suo complementare, il suo yin. Aoi, a differenza di Mio, è daltonico, “i suoi occhi parlavano la lingua di una minoranza, di una piccola comunità che percepisce i colori in maniera diversa”, e come Mio aveva ereditato l’attività di famiglia: gestiva l’agenzia funebre del padre, accompagnava le persone nel giorno più buio: preparando chi se ne va e, allo stesso modo, anche chi resta.
Aoi conosce i gesti della cura, è capace di ascoltare, di entrare in empatia con il dolore e le storie delle persone. La stessa empatia e sensibilità che dedica alle sue piante, ai semi da cui far fiorire nuova vita, con la pazienza di chi ha appreso sin da bambino che la felicità ha una durata da rispettare, da non morsicare, come un chupa chups.
Quando si incontrano, Mio e Aoi sembrano destinati a illuminarsi a vicenda, come i colori complementari che si esaltano l’un l’altro quando accostati. Mio rimane infatti da subito affascinata dal giovane uomo e da come in lui si accordassero la morte e la “vita esorbitante” delle piante che coltivava con cura.
Eppure, ciò che non la distoglieva dal pensare continuamente ad Aoi era il fallimentare tentativo di mettere a fuoco il suo colore. Lei, che leggeva l’invisibile, che scandagliava le anime variopinte dei passanti, per la prima volta non riusciva a distinguere l’aura profonda e misteriosa che avvolgeva l’uomo.
Tre momenti per tre colori
Questo suo percorso di conoscenza è scandito in tre momenti e la tripartizione del libro rimanda ai colori più significativi per Mio: la prima parte è dedicata al color “Grigio cenere e rosa ciliegio” è il colore che segna sia la vita che la morte: due elementi che non possono esistere senza la loro antitesi, due elementi complementari, così come accade con le persone. perché anche per ognuno di noi esiste un complementare.
Il colore della seconda parte è il Blu ripostiglio, “Dev’essere un colore che vediamo uguale io e te , proseguì lui. Per l’ennesima volta, Mio pensò a lei e ad Aoi affacciati dalla stessa finestra, a guardare due paesaggi leggermente diversi. […] Qual era il colore di Aoi? […] Così come non sapeva il colore di se stessa, non avrebbe mai saputo neppure quello di Aoi. Ciò che contava era quanto di nuovo sarebbe nato dalla loro somma: il loro colore”.
Il nome del colore della terza parte è alquanto particolare “Color sguardo furtivo a una brocca” ed è il colore che cercano i due ragazzi: “il colore in cui rifugiarci quando le cose si mettono male”. In questo percorso di conoscenza è evidente come cercare di dare un senso a quello che percepiamo e viviamo, secondo la teoria dei costrutti di Kelly, dipenda dalle proprie rappresentazioni mentali del reale.
Ognuno di noi filtra e immagazzina la realtà in relazione al suo vissuto e alle sue aspettative.
Ad accomunarci in questa impresa è la natura dicotomica del processo di interiorizzazione dei dati, che procede per categorie opposte e complementari, per cui conosciamo il nero perché lo contrapponiamo al bianco e il sentimento d’amore perché resiste a quello d’odio. Anche Goethe, nella sua teoria dei colori, rilevò che l’occhio fissando intensamente un colore su sfondo bianco “è costretto per sua natura, in modo tanto inconscio che necessario, a produrne subito un altro opposto che insieme al dato includa la totalità della gamma cromatica”.
È questione di armonia, di equilibrio, di insita e naturale tendenza a risolverci nel nostro contrario per ripristinare una qualche forma di interezza. Così questa storia d’amore, attraverso la magia dei colori, svela il viscerale bisogno di auto-trascendenza dell’uomo, una storia che palesa il suo significato inintelligibile nel momento in cui due colori diversi si fondono, risultando in una sfumatura del tutto nuova.
Un’ode alla vita
Il romanzo di Laura Imai Messina è perciò un’ode alla vita, tutta intera, compresa la morte, alla diversità che ci rende unici e per questo speciali, complementari a chi ci sa osservare, qualunque sia il nostro colore. Perché alla fine, l’amore si costruisce, è una somma di colori, e non è mai lo stesso. Riconoscersi nella diversità permette di vedere la vera bellezza, la bellezza di poter essere diversi, dato che bisogna essere diversi per incastrarsi e completarsi e per ognuno di noi esiste un complementare, una persona che completa e comprende il nostro lato oscuro.
Laura Imai Messina è nata a Roma. A ventitré anni, dopo la laurea, si trasferisce a Tokyo. Dove vi consegue un dottorato in Letteratura, e attualmente insegna italiano nelle più prestigiose università della capitale giapponese. È autrice dei romanzi “Tokyo Orizzontale”, “Non oso dire la gioia”.
Autore: Laura Imai Messina
Editore: Einaudi
Collana: I coralli
Anno edizione: 2021
di Anna Maria Laurano