Love Life. Com’è possibile superare un immenso dolore, quando ci toglie tutte le energie e le parole?
Taeko e Jiro sono una coppia di neo sposini che vivono insieme a Keita, il figlio piccolo di lei. Questa famiglia dovrà fare i conti con una tragedia che riavvicinerà lei all’ ex marito sordomuto e minerà la loro stabilità affettiva ed emotiva.
Fumino Kimura e Kento Nagayama sono bravi a dipingere le fattezze di una coppia in cui, l’incastro sembra sbagliato. In diverse sequenze iniziali vediamo tanti personaggi e viviamo l’allegria di quei momenti, ma tra i due c’è sempre qualcosa che li tiene distanti. Kôji Fukada dirige con mano sensibile un’opera intrisa di “momenti”, come polaroid, che immergono nell’atmosfera lo spettatore e mantengono il tono del film statico per tutta la sua durata.
Il film offre una grande dimostrazione di forza e di fiducia nella vita. Per andare da qualche parte, non ci deve essere per forza un binario da seguire, soprattutto nei momenti in cui si è allo sbando. Taeko è costretta ad affrontare la sofferenza, a guardarla negli occhi in tutte le sue sfaccettature. Si fa trascinare da questa corrente di nulla e crescono dubbi. Forse la distanza tra lei e suo marito è divenuta troppo grande, forse il suo ex marito davvero la può capire, forse è ancora possibile ricostruire persone vere, dalle ombre che sono diventate. Forse c’è solo da stringere i denti, aspettando che la vita prenda di nuovo forma.
La pellicola offre molto di cui riflettere. È una storia cruda e spietata, anche se narrata sottovoce, in perfetto stile orientale. I protagonisti conservano sempre la propria dignità, nonostante vorrebbero tutti disperarsi fino a farsi cadere la bocca. È proprio quell’infinito silenzio, a urlare a squarciagola e ci ferisce. Ci feriscono gli attimi sospesi, tutti i ripensamenti, i rimpianti, i rimorsi. La casa che, seppur piccola, sembra sempre immensa e vuota.
Love Life fa rumore, fa un rumore assordante, laddove sembra esserci solo il vuoto. Finiamo per guardare in faccia l’essere umano, così piccolo in tutti i suoi errori, ma sempre così immenso nella voglia di rialzarsi ancora e ancora.
Di Federica Forlini e Leonardo Carboni