Che cos’è la gioia? E’ piacere? Anche. E’ felicità? Certamente ma ha un carattere in più che la contraddistingue: è duratura e autosufficiente, pur essendo gratuita.

“L’esperienza di soddisfazione più diffusa e immediata è quella del piacere, è un’esperienza che viviamo tutti quanti quando realizziamo un bisogno o un desiderio quotidiano. Il problema del piacere, e i filosofi ne discutono dall’antichità, è che non dura… inoltre certi piaceri ci fanno bene nell’immediato, male nel lungo periodo, sul medio o lungo termine la soddisfazione immediata dei piaceri a volte si rivela un calcolo sbagliato”.

Cosa ci chiede Lenoir nel suo saggio “la forza della gioia”

Nel saggio “La forza della gioia”  Frédéric Lenoir, filosofo, sociologo, docente universitario, curatore di trasmissioni culturali per la televisione francese,  valutando le due trappole che la ricerca del piacere evidenzia si chiede: “esiste una soddisfazione duratura che vada al di là del carattere effimero e ambivalente del piacere?”, una soddisfazione che non sia limitata nella durata, che non dipenda da circostanze esterne?

Il piacere deriva dalla soddisfazione di un bisogno, proprio per questo non è una condizione durevole, come quella che coincide invece con il concetto di felicità.

Alla base della felicità è comunque innegabile che vi sia il piacere, ma, come diceva Epicuro, bisogna imparare a moderarne la ricerca per evitare la dissolutezza; un precursore del “less is more” insomma, nuovo filone di pensiero che sollecita alla sobrietà per contrastare l’accumulo impoverente di inutili beni materiali.

Non c’è dunque felicità senza piaceri, piaceri moderati, selezionati. Ora però ci si pone un’altra domanda:

“Poichè il piacere è effimero e dipende da cause esterne, come rendere la felicità duratura?”

Per i filosofi dell’antichità bisogna arrivare a dissociare la felicità dalle cause esterne e trovarne di nuove, in se stessi. E’ la strada superiore della felicità, chiamata saggezza. Essere saggi è dire di sì alla vita e amarla com’è, non secondo i propri desideri, gioire di ciò che si ha, “ la felicità è desiderare ciò che si ha” ( S. Agostino),  e accettare ciò su cui non si può agire. Una tale concezione di felicità è agli antipodi di quella che domina oggi nelle società occidentali “Oggi di fatto confondiamo piacere felicità e siamo molto più alla ricerca di piaceri in continuazione rinnovati che di una felicità profonda e duratura.”

Oltre al piacere e alla felicità esiste comunque un terzo stadio che è fonte di un’immensa contentezza di vita: la gioia, che investe sempre corpo e mente. La gioia è  un’esplosione imprevedibile, coinvolge l’essere in ogni sua fibra, ma anch’essa ha natura estemporanea, pur essendo aspirazione dell’uomo renderla permanente.

“L’espressione fisico-gestuale del piacere è spesso sobria, lenta, la gioia per lo più è esplosiva ed è contagiosa, non come il piacere che è solitario…come sentimento di euforia la gioia ha una forza che aumenta la nostra potenza di esistere”.

L’Etica di Spinoza

Il filosofo della gioia per eccellenza, per Frédéric Lenoir, colui che per primo ne dà un’autentica definizione filosofica, considerandola accrescimento della potenza di esistere, è Spinoza. L’Etica di Spinoza, abbastanza complessa, definisce le gioie in attive e passive e solo le prime conducono all’accrescimento dell’essere; in palio c’è sempre la beatitudine o gioia permanente, cui si accede dopo l’immane fatica di essersi liberati dalla servitù delle passioni, con uno sforzo di discernimento di ciò che è bene per ogni singolo individuo.

Le visioni di Nietzsche e di Bergson

Nietzsche, anche se in modo meno sistematico, arriva alle stesse conclusioni, considerando la gioia permanente un punto di approdo dopo un lavoro su di sé, che dovrebbe consentire un totale assenso alla vita, “amor fati”, diceva, inclusi gli aspetti più dolorosi appunto. Bergson, invece, nel suo capolavoro “L’evoluzione creatrice”, considera la gioia intrinsecamente legata alla creazione: quando la vita realizza ciò per cui è fatta si raggiunge la dimensione di gioia.

Un’introduzione alla gioia

La disamina degli autori che si sono interrogati sull’annosa questione spazia fino al Buddhismo, lambendo perfino Induismo e Cristianesimo; di sicuro, introduce alla gioia della lettura chi, pagina dopo pagina, ha la pazienza di seguire le argomentazioni sviscerate lasciandosi condurre fino all’agognato traguardo: essere pronti ad accogliere la gioia quando inaspettatamente busserà alla nostra porta perché il piacere può essere programmato, la felicità si costruisce: deriva da un lavoro su se stessi ma  la gioia ha un aspetto gratuito, imprevedibile,  però ha “ una forza che aumenta la nostra potenza di esistere”.

Allora è obbligo domandarsi, è possibile analizzare, comprendere, spiegare questa esperienza della gioia e meglio ancora coltivarla?

I  filosofi dell’antichità hanno trattato del piacere e della felicità meno della gioia per il suo carattere irrazionale e sfuggente a qualsiasi controllo,  Frédéric Lenoir invece ci indica un percorso che  permette di creare un terreno propizio all’arrivo della gioia: un percorso di disconnessione, vale a dire di liberazione interiore e  di riconnessione alla realtà, che consente di sentirsi in armonia col mondo e con gli altri. Questo clima favorevole alla gioia è  costituito da un certo numero di  comportamenti: attenzione, presenza, meditazione, fiducia, benevolenza, gratuità, gratitudine, perseveranza, saper lasciar perdere, godimento fisico.

L’attenzione:

perché quando siamo attenti ci lasciamo guidare dai nostri sensi, ascoltiamo, sentiamo ,contempliamo, siamo immersi nell’Hic et nunc. Questa connessione con i nostri sensi implica però anche la possibilità di accettare delle emozioni negative come, la tristezza, la collera o la paura.

La presenza: 

perché l’attenzione ci educa alla presenza, ma la presenza va al di là del semplice fatto di essere attenti, è un’attenzione che coinvolge tutto il nostro essere, il nostro cuore, la nostra mente.

La meditazione:

che consiste nell’essere semplici osservatori di ciò che succede intorno a noi, senza cercare di capire nè di riflettere. Nel corso di questo esercizio, si liberano delle emozioni, sorgono delle luci e possono sopraggiungere delle gioie profonde. Sono spesso gioie senza cause, che non sono legate a nessun pensiero, a nessun oggetto particolare, ma semplicemente al fatto di essere lì, di esistere, di essere presenti in modo benevolo e attento a se stessi e al mondo, in uno stato di totale disponibilità.

La fiducia e l’apertura del cuore:

Aprire il proprio cuore significa accettare di vivere in una certa condizione di vulnerabilità, accettare la possibilità di accogliere tutto, compressa la possibilità di essere feriti. Accettare il dolore è il prezzo che si deve pagare per una piena vita emotiva. per aprire il proprio cuore bisogna avere fiducia nella vita. La gioia non si coltiva nella penombra, si dà in piena luce, inaspettatamente.

La benevolenza:

la gioia ha due nemici uno vicino, l’altro lontano:il nemico vicino è l’euforia, una gioia superficiale suscitata da un attaccamento ai piaceri mondani, il nemico lontano è l’invidia; la gioia al contrario è il frutto di un amore altruista che consiste nel godere della felicità dell’altro.

La gratuità:

oggi si privilegia l’utile e ciò è una delle cause della diminuzione o dell’assenza della gioia nelle nostre vite. La gioia sopravviene molto spesso quando non ci si attende nulla, quando non c’è nulla da guadagnare.

La gratitudine: 

non dobbiamo fare come dice Prevert “ho riconosciuto la felicità dal rumore che ha fatto andandosene”, ringraziare semplicemente di esserci, di essere in buona salute, di fare il lavoro che si ama, di incontrare persone che ci apprezzano e che ci aiutano a crescere. La gratitudine consiste anzitutto nel ringraziare la vita, non nel mostrarsi ingrati verso di essa,ma anche nel saperle rendere ciò che essa ci ha dato. La vita è uno scambio permanente.

La perseveranza nello sforzo:

le grandi gioie creative sono sempre frutto di uno sforzo, lo sforzo è faticoso ma anche prezioso, più prezioso dell’opera in cui si esprime, perché, grazie ad esso, si trae da se stessi più di quanto c’era, ci si eleva al di sopra di se stessi.

Il saper lasciar perdere, mollare la presa e acconsentire.

Imparare a non lottare contro gli eventi della vita che non dipendono da noi, mollare la presa, in questo senso, non è fatalismo, ma porre una distanza, una forma di distacco. 

L’accettazione della vita…

“la cosa è così grave da lasciarti in questo stato?” Il pensiero taoista è una filosofia dell’opportunità, il “non agire” che essa promuove non consiste nell’assoluta assenza di azione ma nell’agire assecondando il movimento della vita, senza perdere di vista i propri obiettivi, le proprie intenzioni, senza cercare di realizzarla immediatamente e a qualsiasi prezzo. Se la vita ci si oppone lasciamoci portare dal suo flusso, il nostro obiettivo lo realizzeremo in un secondo momento o mai se nel frattempo lo abbiamo cambiato. impariamo ad utilizzare le avversità per farne emergere il lato positivo… e la gioia.

Il godimento del corpo:

La velocità degli spostamenti, la precisione dei gesti, la giusta tensione dei muscoli procurano un sentimento di gioia di vivere, di potenza di esistere. E’ ciò che possiamo sentire quando nuotiamo, balliamo, corriamo o anche semplicemente quando camminiamo.

Una guida alla gioia

Frédéric Lenoir ci regala una vera e propria guida e il suo manuale assume una posizione contraria a quella delle saggezze che propongono l’atarassia, che  tendono a sopprimere il desiderio per evitare la sofferenza; la saggezza della gioia per il filosofo francese invece vuole assumere pienamente la ricchezza e l’intensità di una vita affettiva e desiderante accettandone la sofferenza come una parte integrante perché l’amore afferma la sua potenza anche  al di là della morte: “l’amore si svela nella sua essenza (la gioia come affetto) quando si scopre sopravvivere alla sua causa esteriore, trasformato in pienezza, liberato dalla mancanza, l’amore si realizza in perfezione nella finitudine, attraverso l’esperienza della gioia”.

Il pregio ulteriore del libro, oltre al luminoso argomento, è lo stile divulgativo, sobrio, felicemente esente da contorsionismi intellettuali che ne avrebbero fatto un mattone.

La ricerca di Lenoir

Il professor Lenoir conquista l’interesse del lettore rendendolo partecipe della propria ricerca filosofica, là dove prescinde dalla mera speculazione accademica divenendo ricerca esistenziale pura, iniziata in giovane età, quando si reca in India a lavorare in un lebbrosario.

Altrettanto intensa è l’esperienza in un monastero durata tre anni, dove approfondisce la conoscenza di sé e del cammino che dovrà intraprendere per riconnettersi alla sua più autentica vocazione, non quella monastica come pensava.

Oggi il nostro autore pratica yoga, meditazione, arti marziali e, da come si racconta, pare aver raggiunto, anche grazie ad un percorso psicoanalitico – non ha lasciato proprio niente al caso – la famosa saggezza, che Seneca considerava porta d’accesso alla gioia duratura. Vivere sulla propria pelle la tensione esistenziale verso un obiettivo elevatissimo, ben a fuoco nel percorso cognitivo ma sfuggente e difficile da raggiungere nella concretezza dei limiti umani, non è cosa da poco, e il lettore lo apprezza, vi si appassiona, con la voglia crescente di coltivare la gioia, di riscoprire quella primordiale ‒ a dispetto della più frequentata gioia consumistica che intasa gli armadi svuotando anima e portafogli ‒ e magari anche di approfondire la figura di qualche filosofo trascurato al liceo, molto più comprensibile e accattivante in questo saggio.

Consigliatissimo agli insoddisfatti cronici, che tutto hanno e che per  di più si lamentano pure.

AUTORE:Frederic Lenoir

TITOLO: S”La forza della gioia”

EDITORE: La nave di Teseo 2017

GENERE: Saggio di filosofia

PAGINE:137

di Anna Maria Laurano