A tre mesi dal suo insediamento, la direttrice generale dell’AST Nicoletta Natalini ci parla dei principali nodi della sanità picena.
È già passato un trimestre pieno dal suo arrivo ad Ascoli; quali sono i nodi principali della sanità picena?
In positivo, sto trovando delle professionalità eccellenti, abbiamo degli ambiti in cui riusciamo a dimostrare competenza e qualità delle cure. Per fare solo un esempio, abbiamo un’ematologia importante e, pur essendo un ospedale di primo livello, abbiamo avuto l’autorizzazione alla somministrazione delle CAR-T, che è una terapia innovativa molto costosa salvavita e quindi il fatto che anche a livello regionale sia stata data questa autorizzazione vuol dire che è stato riconosciuto il valore. La sanità picena non ha nulla da invidiare a città più grandi o a sedi.
Dal lato negativo, questi ottimi risultati si ottengono più sulla buona volontà dei singoli che non sulla base di procedure codificate. Siamo una provincia relativamente piccola dove si conoscono praticamente tutti. Per questo è facile lavorare molto sulla conoscenza personale e abbiamo poche cose formalizzate. Ma la forma è sostanza nella medicina, perché noi dobbiamo seguire delle linee guida, sia per far funzionare le cose bene sia per quando le cose, purtroppo, non hanno funzionato e dobbiamo andare davanti ad un giudice e giustificarci.
Questa è una delle parti sulle quali ho cominciato a lavorare da subito, sia per quanto riguarda la parte degli accordi sindacali, che sono stati un grande risultato della direzione aziendale, sia per quanto riguarda i protocolli più clinici.
Parlato di parti sociali, lei ha impostato subito un grande dialogo, ottenendo anche risultati importanti. Qual è la situazione oggi?
Io parto dal presupposto che i lavoratori della mia azienda, che sono circa duemilaquattrocento, non sono solo miei dipendenti ma anche miei collaboratori, io da sola non vado da nessuna parte. Posso avere le migliori idee del mondo, ma se la squadra non mi segue, non ottengo niente. E se non ottiene niente la squadra, non diamo una buona salute ai nostri cittadini. Quindi, il fatto che i lavoratori fossero scontenti e non ottenessero le indennità di cui avevano diritto, per me era un vulnus aziendale gravissimo, perché questo ha portato ad una disaffezione dal posto di lavoro. Lavorare per migliorare il clima interno, anche dando tutte le indennità economiche di cui i lavoratori hanno diritto, mi sembrava il minimo per poter partire con un’azienda nuova, più unita, che avesse un obiettivo comune: la salute dei concittadini.
La sanità italiana è afflitta dal fenomeno dei “gettonisti”; succede anche nel Piceno e in che dimensioni?
Sì, c’è anche nel Piceno. Ormai, è un dato nazionale, la pianificazione del fabbisogno del personale sanitario non è stata fatta in modo corretto negli ultimi venti anni. L’Europa ci ha obbligato a pagare la borsa di studio ai medici, è stata fatta una pianificazione con un’ottica più economica che di fabbisogno sanitario. Ci troviamo, quindi, ad avere da un lato un numero ridotto di personale, dall’altro delle condizioni di lavoro molto diverse tra pubblico e privato, quindi qualcuno sceglie il privato.
Qui da noi – e io lo vedo come un dato positivo – abbiamo pochi posti vacanti. I due ambiti dove c’è bisogno sono l’emergenza urgenza e gli anestesisti; se trovassi oggi dieci prontosoccorsisti li assumerei tutti e dieci, mentre in tutte altre le branche specialistiche abbiamo un posto vacante, massimo due, una quantità superabile con l’organizzazione del lavoro.
Il pronto soccorso vive di più questa difficoltà, per far fronte alla quale le Aziende hanno due armi: le aggiuntive e i “gettoni” delle cooperative.
Con le aggiuntive paghiamo in più i nostri dipendenti: al di sopra di un certo numero di ore, se sei disponibile, vieni pagato “in aggiuntiva” che è una quota oraria. Il contratto collettivo dice sessanta euro all’ora, mentre se le fai all’interno dei pronto soccorso arriviamo fino a cento euro l’ora. Le aggiuntive noi le diamo per due motivi: la carenza di personale o per il recupero delle liste d’attesa.
Il gettone dell’esterno è il gettone della cooperativa. Noi, per il momento, ce l’abbiamo solo a San Benedetto e solo in pronto soccorso, da circa un anno e mezzo, con circa cinquanta ore settimanali, che coprono un medico e mezzo, per garantire la dotazione minima in pronto soccorso che sono almeno due medici h24. D’estate abbiamo avuto più accessi e quindi un rinforzo estivo.
Ultima tema, quello delle liste d’attesa. Dove andiamo meglio e dove dobbiamo lavorare?
Il problema delle liste d’attesa va ridimensionato e visto sotto un’ottica diversa. Io ho un problema clinico se ho un paziente con una patologica grave, cronica e acuta e non riesco a curarlo. Questo non succede, perché i canali di accesso alle prestazioni per l’urgenza, per il cronico e per il grave ci sono e sono pressoché sempre garantite.
Poi è vero che i cittadini hanno diritto ad una quota di prestazioni in caso di insorgenza di un sintomo nuovo o nell’ambito della prevenzione. Il problema nasce quando il cittadino pretende una serie di controlli indipendentemente dalla patologia di base. Infatti, in sanità maggiore è l’offerta maggiore è la domanda e noi stiamo dando molte più prestazioni di quelle che davamo nel 2019, nostro anno di riferimento. Secondo me, va ricalibrata l’appropriatezza delle prestazioni, proprio per valorizzare il nostro sistema sanitario.