Si può essere liberi dietro a delle sbarre e più prigionieri guardandole da fuori, perché la libertà è uno stato d’animo che prescinde dal luogo in cui ci si trova.
Il nuovo romanzo di Lorenzo Marone porta dentro un’ICAM, una struttura di detenzione attenuata, dove vengono accolte le detenute con figli piccoli sotto i dieci anni.
Porta lì dentro, e non è una metafora, perché leggendo questo libro si ha la netta sensazione di trovarsi fisicamente in quel luogo, a volte nei panni di una detenuta, altre nei panni di una secondina, e si vive al loro fianco la sensazione di protezione che possono dare quelle mura, come la fatica di respirare l’aria al di fuori.
Ognuno di noi, come ogni personaggio in questo romanzo, vive una forma di prigionia, sia essa costituita dalle convenzioni, dalle aspettative disattese, da sentimenti sbagliati, da scelte fatte male o non fatte, o dai ricordi che si fanno veleno, e il potersi liberare di tutte o alcune di queste sbarre che ci imprigionano l’anima è un atto liberatorio, ma non sempre possibile.
I protagonisti
Protagonisti, in questo Icam napoletano, sono Miriam e suo figlio Diego di nove anni e mezzo, un’anima buona e un cuore difettoso vestiti da un corpo ingombrante, caratteristiche che combinate gli rendono la vita, in un quartiere come quello di Scampia, un vero inferno: «un animale senza artigli, un bimbo grande e grosso che teneva la tenerezza dei poeti, e-dicevano i secondini dell’ICAM- pareva non chiedere che d’essere visto. Non volergli bene era impossibile».
All’interno dell’ICAM Diego impara a conoscersi perché è libero di essere, finalmente, sé stesso senza doversi nascondere da chi di se stesso lo faceva vergognare. Si fa degli amici; trova una sorella nella dolce Melina, che trascorre il tempo riportando su un quaderno le «parole belle»; guardie e volontari gli vogliono bene; migliora addirittura il proprio aspetto.
Miriam, la madre, è di una bellezza selvaggia che però vive come una disgrazia, da nascondere dentro al cappuccio della felpa per evitare di doversi difendere da attenzioni non cercate. Attira da subito, infatti, le attenzioni di una delle guardie, Michele Cuomo, detto Miki o Poncharal, un uomo piuttosto irrisolto, che punta a fare il duro con le detenute ma ha sempre una piccola e tenera attenzione per i bambini, lui che è stato un padre distratto e assente, a suo tempo.
Ma Miriam è bravissima a «far sentire inadeguato chi le era accanto perché inadeguata di sentiva lei», rifugge a lungo la solidarietà, gli aiuti e il tentativo di conoscerla meglio da parte di alcune delle detenute. Lei è abituata a cavarsela da sola, a diffidare della gentilezza altrui, in cui immagina sempre un secondo fine. Ecco perché anche la psicologa del carcere, Greta, deve faticare per guadagnarsi la sua fiducia.
Le vite dentro all’ICAM
Oltre a questi personaggi principali, si viene a conoscenza delle storie di molte altre detenute e dei loro bambini. Marone, attraverso le sbarre che tagliano il sole, raccoglie il dolore altrui e lo lancia addosso al lettore: una pioggia di vite che entrano dentro, scavando lentamente nell’anima, non vuole rendere solo un punto di vista; al contrario, i diversi capitoli sono intitolati col nome del personaggio con cui si osserva la storia.
Ecco, dunque, che sia le guardie, sia la psicologa Greta, sia il direttore del carcere sia altri personaggi possono mostrare la loro prospettiva su quanto sta avvenendo e sugli altri personaggi, nonché raccontare cosa succede nelle loro case, quando, finito il turno di lavoro, rientrano. Spesso ad aspettarli ci sono situazioni drammatiche, difficili da considerare realmente migliori di quelle delle detenute, perché esistono infinite prigioni in cui una persona può essere rinchiusa.
Attorno a Miriam e a Diego, protagonisti principe di questa storia, si compone così un mosaico fatto di decine di esistenze, decine di colori che vanno a comporre la perfezione di quest’opera. Vite dolorose, spaccate. È una storia di bambini. E di adulti. E di solitudini, strette all’interno di spazi angusti dove non si può far altro che inventarsi un presente per non rimanere succubi del proprio passato. Un passato ingombrante che lascia una traccia che va ben oltre la reclusione. Che riesce a varcare i pesanti cancelli della detenzione, che chiede di essere narrato. Per essere compreso. Una storia di trasformazioni, inoltrandosi nella quale si finisce per perdere di vista il confine labile che separa chi sta dentro le sbarre da chi ne rimane fuori.
C’è tutta l’ingenua commovente schiettezza dell’universo infantile tra queste pagine, la sua innata capacità di dare vita ai sogni, di creare e ricreare sempre e comunque il mondo circostante con una vocazione che ha del fiabesco, per assimilarlo e superarlo. Un mondo di angoscia rischiarato attraverso gli occhi di un gruppo di bambini nel quale si apre una raffica di sprazzi di ingenuo stupore, come lampi nel buio.
Un romanzo polifonico
La coralità che anima questo romanzo polifonico, molto più che un semplice espediente per provare a tenere insieme mille fili narrativi, si fa carico di restituire l’ineludibile discordanza delle pulsioni che si agitano dentro ogni uomo, di portarle sulla pagina con occhio attento e non giudicante: è dalla loro impossibilità di ricomposizione che queste istanze recuperano valore e dignità, contribuendo ad ampliare la trattazione e a coinvolgere il lettore verso un’ umanità rotta, abbandonata a se stessa, priva di futuro per se stessa ed i propri figli.
“Le madri non dormono mai” si attorciglia ai fianchi di un grido, prima silente e poi sempre più roboante sino a esplodere acuto, violento e disperato sul finale. Un libro drammaticamente bello, tragicamente e irrimediabilmente coinvolgente, con tinte pasoliniane, tratteggi neorealistici, evocazioni di volti simili a quello intenso della Magnani. È un cantico degli ultimi che si interroga, e interroga il lettore, su cosa significhi davvero essere liberi o prigionieri.
Nessuno dei personaggi viene lasciato indietro, Lorenzo Marone ha il dono di saper usare le parole giuste con i dovuti silenzi e le pause necessarie dando dignità, rispetto e speranza proprio là dove – per molti – sembra oramai tutto perduto e l’ampio ricorso allo strumento del feedback denota una pregevole abilità di saturazione e sintesi degli antefatti che trascolora nel presente, in una eterna rincorsa alla felicità.
Con tutta la paura di non meritarsela, tutta la rabbia di andarsela a prendere, rabbia che porta a intendere l’amore anche come sottrazione: l’amore di Miriam verso Diego, ad esempio; quel figlio che lei cerca di tirare su forte e duro, perché sa che la vita è fatta di mazzate e che, invece, continua a essere buono e gentile con tutti!
Perché Diego è così: sa che la vita non fa sconti; anche alla sua età, questa cosa l’ha già imparata, ma lui non può farci nulla. Lui, nella gente cerca sempre il buono e quando lo guardi ti sorride e ti allarga il cuore! “C’era in Diego, a soli nove anni, la capacità d’accorgersi dei vuoti degli altri, e il coraggio e l’anima buona per tentare di riempirli con la sua presenza”.
Inganna questo romanzo, perché fa credere di essere spettatore di vite altrui e, invece, ci si ritrova protagonisti e, d’improvviso, succede che ci si accorge che il carcere non è solo quello con le sbarre alle finestre ma che ognuno di noi ha dentro sé la propria galera, che è fatta di lacrime abortite, di sorrisi tirati, di vite che zoppicano e di infanzie sbagliate. E allora pensi di essere anche tu un po’ come Diego, che tra quelle sbarre e in quel cortile ha trovato un po’ di pace e succede che l’autore ti accompagni dentro delle vite spezzate e poi spezzi te. E ti lasci lì, in mille frammenti che è impossibile ricomporre. Miriam aveva stretto la mano del figlio nella sua, l’aveva portata alla guancia solo un istante, poi, prima di lasciarlo andare, aveva detto: “Le madri non dormono mai”
Editore: Einaudi
Anno edizione: 2022
Lorenzo Marone ha pubblicato “La tentazione di essere felici”, Premio 2015, “La tristezza ha il sonno leggero”, Premio Città di Como 2016, “Magari domani resto “Premio;”Un ragazzo normale”,Siani; ”Tutto sarà perfetto”; “La donna degli alberi”, Premio Prata. Nel 2022 ha pubblicato per Einaudi “Le madri non dormono mai”, che ha vinto il Premio Letterario Pisa.
di Anna Maria Laurano