Edgar Morin, uno dei grandi pensatori del nostro secolo e di quello scorso. Lo scrittore ha compiuto 100 anni l’8 luglio scorso. Nasce a Parigi nel 1921 da una famiglia ebrea cacciata dalla Spagna nel 1492 e costretta all’esilio, fino all’arrivo nella capitale francese. È indubbio che la commistione di queste matrici del pensiero e della spiritualità contribuì al formarsi di un’intelligenza quanto mai aperta e cosmopolita. Non per niente Morin è oggi considerato il filosofo e il sociologo della complessità, uno dei pensatori più significativi della nostra epoca globale. Numerosi sono i suoi saggi tradotti in 27 lingue e pubblicati in 42 Paesi.
Guida al pensiero di Morin
Partecipa da partigiano nella Resistenza francese contro il nazismo e da qui nasce l’impegno civile che accompagna lo sviluppo del suo pensiero. La vicenda familiare lo induce ad intravedere nel proprio stesso destino il confine tra civiltà e barbarie mentre, al tempo stesso, lo invita a concepire, sia dal punto di vista sociale che da quello epistemologico, l’ideale di un nuovo umanesimo che si nutre delle differenze come di un patrimonio e di una ricchezza. Una delle preoccupazioni principali di Morin è quella di andare al di là dell’antitesi tra la cultura scientifica e quella umanistica. Il suo pensiero non distingue tra il piano conoscitivo e quello etico-politico, e trova il suo coagolo nell’idea di “complessità”.
È quanto emerge nei sette volumi de “Il metodo”, comparsi nell’arco di trent’anni e tradotti in italiano dall’editore Cortina. È un progetto immenso sorretto da un impianto antropologico, che invita a guardare alla cultura attraverso la natura e l’inverso. E da qui nasce l’impegno pedagogico, in un quadro di ripensamento del sapere e dei suoi ambiti che contesta lo specialismo della cultura contemporanea. Insomma, Morin invita tutti a utilizzare responsabilmente le forme del sapere e così pure la tecnologia a favore di quel destino comune al quale l’umanità è consegnata, anche in forza della globalizzazione. Ecco allora l’esortazione a diventare abitanti della Terra-Madre, di una patria che non conosce nazionalismi, e a far rifiorire parole del sapore schietto e antico come amore e fratellanza.
“La fraternità perchè?”
Cade a proposito un appassionato pamphlet, tradotto l’anno scorso dall’Editrice Ave di Roma, con il titolo “La fraternità perché? Resistere alla crudeltà del mondo”. Morin evidenzia come nella triade democratica libertà-uguaglianza-fraternità, sia l’ultimo termine a dover prevalere, pena l’aggravarsi ulteriore della crisi in atto. Nella bella prefazione don Luigi Ciotti scrive che “è il vuoto di fraternità a determinare l’individualismo sfrenato a livello sociale, ambientale, economico”.
Allora preziosa è la conclusione di Morin per ogni persona responsabile. “Questo rende la fraternità ancora più preziosa: è fragile come la coscienza, fragile come l’amore la cui forza è tuttavia inaudita. La fraternità […] deve diventare scopo senza smettere di essere mezzo. Lo scopo non può essere un termine, deve diventare il cammino, il nostro cammino, quello dell’avventura umana”. In fine, stupisce e conforta la convergenza di questo prezioso testo con i temi trattati da papa Francesco nella “Laudato si’” (2015). Per queste due personalità straordinarie, la fraternità non è un mero afflato umanitario, ma la priorità politica essenziale per lo sviluppa di una civiltà planetaria.
di Luciano Luciani