Può il bianco, il colore dell’integrità, della purezza, dell’incontaminazione diventare il colore del danno? Può il condizionale, il tempo del desiderio, della gentilezza, della possibilità, diventare il tempo crudele dell’angoscia? E che cos’è il danno? L’essere danneggiati, l’essere malati è non avere più controllo su di sé, sul proprio tempo ma l’esperienza della malattia, a volerla ascoltare, è anche un acceleratore di consapevolezza, in tempi dove si accelera tutto, tranne la consapevolezza, ti ricorda che il tempo “è un Dio breve” per dirla con il titolo di un altro bel libro.
Un racconto autobiografico
“Bianco è il colore del danno” di Francesca Mannocchi è un racconto autobiografico in cui l’autrice, giornalista e reporter di guerra, lascia i consueti scenari bellici del Nord Africa e del Medio Oriente per approdare su un terreno altrettanto instabile e spinoso quello della propria vita raccontando il percorso che l’ha portata a scoprire di avere una malattia neurodegenerativa: la sclerosi multipla.
È un libro raccontato con la precisione di un reportage e la profondità emotiva di una confessione a cuore aperto. Un libro intimo, privato che non è distante dal reportage professionale giornalistico nel metodo, nella severità dell’oggettività che analizza volta a volta, il pubblico o il privato. Il libro di Francesca è perciò privato e politico al tempo stesso proprio come il famoso slogan che scandivano anni fa.
Il colore bianco
Questo insolito reportage inizia da un viaggio di lavoro con la scoperta di un corpo che improvvisamente non risponde più agli impulsi, non si lascia guidare, non si fa più sentire. Perché questo è quello che fa la patologia autoimmune da cui è affetta Francesca il cui «segnale massimo» è il bianco: il colore che nelle risonanze indica le lesioni che la malattia provoca al sistema nervoso. Il bianco diventa così adesso simbolo del “danno”, del male.
Bianco è il colore del danno per l’autrice, “perché la malattia è bianca, e la morte pure lo è e il bianco non si esprime per menzogne. Contiene tutto proprio come questo libro, che apre visioni interminabili su una serie di argomenti: il rapporto conflittuale con la maternità, il non essere la madre che ogni aspettativa sociale e innato imperativo morale impone alle donne di essere e il senso di colpa e profonda inadeguatezza che inevitabilmente si insidia nelle pieghe più profonde dell’anima”, avevo l’impressione che non vedessero più me ma solo la bambina che mi stava dentro, non ero io, ero l’attesa di mia figlia”.
Il conflitto in famiglia
Il rapporto conflittuale con i genitori, l’essere figlia di genitori da cui si è state amate male, dai quali non si è state viste veramente né da bambine né da adulte e che davanti alla malattia si tappano gli occhi per negarne l’esistenza. “ Tuo padre non ne parla, forse crede che se non ne parla la malattia non esiste”. “Sono troppo piccola per sapere che il suo sguardo nasconde la figlia trasformandola nella proiezione dei suoi desideri e dei suoi fallimenti. Sono grande abbastanza per aver preso sulle spalle un pezzo della sua scontentezza e non fare domande. La forma che lo sguardo severo di mio padre ha dato alla mia identità dipendeva dal voto che avevo meritato e che non era mai abbastanza, hai fatto metà del tuo dovere”. “Mi faceva mangiare per forza, rivendicavo il diritto al gusto, ma l’espressione della scelta mi era negata”.
Rapporto conflittuale con la famiglia in toto: “ la mia famiglia presentava la condizione ingannevole in cui la forza del singolo non viene tollerata ma respinta, in cui la fragilità agisce come una forma di predominio e si esprime col passo lento del senso di colpa”. Uno dei conflitti fondamentali è poi quello con il tempo: “ho imparato cosa significhi il tempo quando non ti appartiene più, quando diventa un breve intervallo tra i bisogni di un altro che dipende da te”. Ma anche con il ricordo: Perchè ho così tanta paura di dimenticare? Perchè la memoria è la mia storia, la mia storia è il mio passato, il mio passato è origine e destinazione”, nel mio passato è inscritto il mio futuro, “Ho imparato in fretta che il malato vive al presente, ma io voglio che i ricordi si confondano con i desideri. E’ questo volere tutto?”.
Pubblico vs Privato
Importante è poi anche il rapporto conflittuale con il pubblico e il privato: Non siamo solo pazienti ma siamo pazienti perpetui, siamo malati in potenza e dobbiamo imparare ad aspettare, il tempo non mi appartiene più e l’ospedale smette di essere uno spazio e diventa un processo, non è più una struttura di passaggio ma di passaggi” e quindi con la sopportazione che richiede astuzia e il dover scoprire la propria, che porta con sé quello con il corpo. Il corpo che tradisce, che si guasta, che impone i suoi bisogni e che costringe a guardare in faccia la prospettiva della morte, del tempo che improvvisamente diventa pochissimo, stretto, incerto. Il dover venire a patti con una vita che non tornerà mai più com’era prima ma che, forse, per la prima volta si decide di vivere davvero.
Tutto questo e molto altro è “Bianco è il colore del danno”, un libro che attraverso le ferite dell’autrice scava e rivela anche quelle del lettore, un libro che ci fa quel grande dono, ormai raro, di stupirci. Veniamo stupiti dal coraggio, dalla fragilità, dalla vergogna e dalla paura, dalla bellezza che Francesca ancora sente. Sono capitoli densi, scritti con parole asciutte e precise ma che sono altrettanto cariche di poesia. Francesca rivendica l’importanza e il peso delle parole. Una parola, la sua, che disturba, che non è mai vuota, mai leggera e che sconvolge tante vite con la speranza di dare un ordine alle cose, di cambiare il caso in destino, di dare un senso all’irrazionalità del male.
L’autrice
Francesca Mannocchi scrive per «L’Espresso» e collabora da anni con numerose testate, italiane e internazionali, e televisioni. Ha realizzato reportage Nord Africa al Medio Oriente. Ha vinto vari premi giornalistici tra cui il Premio Ischia, il Premio Giustolisi e il Premiolino 2016. Per Einaudi ha pubblicato nel 2019 “Io Khaled vendo uomini e sono innocente”, con cui ha vinto il Premio Estense, e nel 2021 “Bianco è il colore del danno”.
Autore: Francesca Mannocchi
Editore: Einaudi
Anno edizione: 2021
Pagine: 207
a cura di Anna Maria Laurano
anna maria laurano@libero.it