Molti e di diversa natura sono i capolavori d’arte e di fede che nel corso dei secoli arricchiscono e connotano la nostra Cattedrale. Tuttavia tra questi è da menzionare una non molto nota statua lignea di Sant’Emidio da Treviri, primo vescovo della città, martirizzato durante l’impero di Diocleziano. Le sue spoglie mortali insieme a quelle dei compagni di fede Euplo, Germano e Valentino sono in un sarcofago marmoreo di epoca tardo antica. Il sarcofago presenta la faccia anteriore decorata da una ianua con gli infissi socchiusi compresa tra due pannelli strigilati e conclusa agli angoli da due eroti.
Luogo di conservazione
La pregevole statua lignea di Sant’Emidio attualmente è nella nuova Pinacoteca Vescovile ubicata al Primo Piano dell’Episcopio in Piazza Arringo.
Attribuzione dell’opera
Sull’altare-sarcofago sito nella navata centrale della cripta, sin dall’anno 1618 si venerava una statua in legno policromo rappresentante Sant’Emidio benedicente. Per circa tre secoli la scultura, sulla base di una errata lettura dei documenti d’archivio, è stata attribuita a un certo Giulio Cesare Bottifango (o Bottifanghi).
Inoltre Tullio Lazzari nel 1724 in “Ascoli in Prospettiva” scriveva: “Eretta su questo Altare venerasi la Statua del Santo, quasi al naturale Pontificalmente vestita, con gentil maniera intagliata, colorita e dorata dal Cavalier Cesare Bottifanghi da Orvieto”.
Tuttavia nel 1903 Don. Pietro Capponi nella sua “Guida alla Cattedrale Basilica di Ascoli Piceno” più propriamente scriveva: “Anticamente sopra l’altare vi era una statua del Santo in legno, che ora trovasi nella Pinacoteca, e che qualche scrittore sostiene sia lavoro del Cav. Cesare Bottifanghi di Orvieto eseguita nel 1600; qualche altro all’opposto vuole che quella statua non sia lavoro del medesimo, ma che solamente sia stata fatta eseguire della munificenza di lui”.
Il dubbio sull’attribuzione
Il dubbio sull’attribuzione dell’opera posto più di un secolo fa dal Capponi si chiarisce solo nel 2010. Quando nelle “Risoluzioni Capitolari del 26 Novembre 1618”, in una Appendice al foglio 39 trovai che riportava e annotava la seguente frase: “Fù fatta la statua di legno di S. Emidio con fiorini 60 dati dal Can.co Fran.co Panezio” e nella riga successiva: “1619. Si dona la statua di S. Emidio da Giulio Cesare Bottifanco”.
Da queste scarne, ma precise affermazioni, si deduce quindi che il Lazzari invece di leggere “dona la statua” abbia letto “dora la statua”. Dalle ricerche effettuate in questi anni non risulta infatti che Giulio Cesare Bottifango da Orvieto (1559-1630), Cavaliere dell’Ordine di Portogallo, abbia mai esercitato l’arte della scultura. Invece risulta che fosse esperto nella pittura, nel ricamo, nella musica, nella filosofia e nelle lettere. Per di più arte nella quale ebbe un certo successo per alcune opere come “Il Corporale Sacratissimo di Orvieto”, l’“Epistolam de Elephanto Romae viro” e la traduzione dallo spagnolo all’italiano de “La Vita del Beato Luigi Bertrando dell’Ordine dei Predicatori”.
Il Bottifango apparteneva alla Congregazione della Santissima Vergine Assunta presso la Casa Professa dei Gesuiti a Roma dove tra l’altro coprì la carica di Segretario del Cardinale Federico Corner.
Fu amico personale del Cardinale Girolamo Bernerio di Correggio, Cardinale e Vescovo di Ascoli dal 1586 al 1605, del quale dal 1593 fu Segretario e Maestro di Camera. Il potente Cardinale che tra i molti incarichi ricoperti durante la sua lunga carriera ecclesiastica svolse anche un ruolo di primo piano nel Sant’Uffizio, alla sua morte lasciò al Bottifango una cospicua rendita per poter vivere dignitosamente.
La rimozione della statua
La statua lignea di Sant’Emidio fu rimossa nel 1718 per essere sostituita dal gruppo marmoreo, ritenuto più confacente e adatto alla liturgia barocca, realizzato da Lazzaro Giosafatti e rappresentante Sant’Emidio che battezza Polisia.
Caratteristiche della statua
Si tratta di una scultura alta cm.156 realizzata in legno policromo risalente ai primi anni del sec. XVII che rappresenta Sant’Emidio in abiti vescovili che con la mano destra impartisce la benedizione e con la sinistra regge il pastorale. Sul capo porta una mitria color oro riccamente decorata da ricami e gioie realizzate a pastiglia con un prezioso castone centrale perduto del quale rimane solo il foro di fissaggio. Il giovane santo dallo sguardo intenso e pensoso indossa una pianeta rosso-cremisi con trame in oro ornata da uno stolone decorato con perline e arabeschi.
La superficie presenta ricchi disegni fitomorfi realizzati con la raffinata tecnica detta “estofado de oro” diffusa nel sec. XVI e XVII soprattutto in Spagna e nell’Italia meridionale. Aree dalle quali la scultura probabilmente proviene, consistente nel ricoprire la superficie gessata con foglia d’oro sulla quale viene stesa una leggera velatura di lacca colorata, in questo caso rossa. Questa viene successivamente rimossa per far riemergere l’oro dalle tracce asportate, ottenendo così il disegno voluto.
Sul camice bianco il santo indossa un rocchetto rosso lungo fino alle ginocchia con larghe maniche, una sopravveste rosa aperta sui fianchi, calza scarpe rosse con nastri aurei e lunghi guanti dello stesso colore. All’indice della mano destra porta l’anello liturgico, l’amitto bianco avvolto intorno al collo mette in risalto il giovane volto fortemente ritrattistico. Sui quattro lati della base originale in legno recentemente rinvenuta e ricollocata sotto la statua, intorno allo stemma nobiliare del donatore corre l’iscrizione: EQ. IUL. CAESAR. BOTTIFANGUS. URBEVETANUS. ORD. LUSITANI.
Analogie stilistiche
Per le caratteristiche esecutive e per le forti analogie stilistiche è possibile confrontare questa scultura con la statua di San Nicola intagliata da Giovanni Gili e decorata dal pittore Mario di Laurito. Questa attualmente si conserva nel Museo Diocesano di Palermo e con quella della Madonna di Monserrato nello stesso Museo.
di Michele Picciolo, Direttore Scientifico della Pinacoteca Vescovile