Abbiamo parlato con Giuseppe Piccioni, a circa dieci giorni dall’anteprima nazionale del film “L’Ombra del giorno” che si è tenuta in città, nelle sale del centro storico.
Sono passati un po’ di giorni dall’anteprima, come è andata quella giornata?
Non ho mai ricevuto un’accoglienza così diffusa, forse neanche per grande Blek, e anche in quel caso c’era stato un impatto enorme da parte della città. Devo dire anche a livello nazionale non ho mai collezionato tante critiche positive e, soprattutto, quello che mi colpisce è la reazione degli spettatori che hanno visto il film, questo mi rende più felice di ogni cosa, perché significa che il film parla alle persone.
Probabilmente, anche se non dovrei essere io a dirlo, traspare quel senso di umanità che ci appartiene, il pubblico è stato toccato da quello che il film racconta tra le righe. È un film ambientato nel passato ma parla anche di noi. Come poi tutto si sia composto, da una difficilissima chimica dove gli attori, le scene, i costumi, ma soprattutto la cornice, questa nostra città che è quasi un altro grande interprete di questa storia… sono contento che le persone, tutte, si siano innamorate di Ascoli, anche se il film è ambientato nella sola piazza senza nemmeno quel rischio che potesse essere quasi un film turistico. Infatti, ho evitato – essendoci un’unità di luogo – di andarmene in giro a prendere tutto ciò di bello c’è nella città. Però anche quelle poche immagini colpiscono ancora di più proprio perché sono presenti qua e là, non in maniera pervasiva.
È possibile che il suo sguardo innamorato per questa città faccia sorgere questo sentimento negli spettatori?
È probabile perché a volte penso che il mio sguardo, insieme a tutte le cose che mi hanno formato come essere umano e come regista, che sono gli incontri avuti, le letture fatte, i film che ho visto, ma anche la vita che ho scelto di vivere, probabilmente si sia formato e si sia educato su quella città. Una città che dovremmo meritarci ogni giorno di più, come se fosse una gemma nascosta che, ogni volta che si esibisce, mostra il suo splendore, uno splendore che sorprende ancora nonostante non siamo nei tempi del Grande Blek, quando Ascoli davvero era quasi sconosciuta.
La mia scelta, condivisa con Riccardo, di girare in Ascoli ha fatto sì che la storia, ambientata in un luogo periferico rispetto a Roma, ancora di più avesse assunto un carattere universale. Come se ambientandolo in provincia, il film si fosse totalmente sprovincializzato.
Io ho trovato Riccardo Scamarcio in uno stato di grazia: la scelta del protagonista dov’è nata?
Io ho scritto questa storia quando ancora Riccardo non era tra le mie idee, tra il 2018 e il 2019, poi quando si pensava a cominciare a fare le scelte è arrivata la pandemia, c’era un altro produttore. Però anche con questo produttore io avevo già scelto lui come protagonista, anche se mi faceva penare perché ci aveva messo troppo a leggere la sceneggiatura. Ogni tanto mi diceva: “Ma non ti preoccupare, io con te lo faccio, anche se non leggo la sceneggiatura” e io: “No Riccardo se non leggi la sceneggiatura non va bene” e allora un giorno visto che non l’aveva ancora letta gli ho detto: “Va beh Riccardo, siamo sempre amici, ti voglio bene, ma io sto pensando a qualcun altro”, e lui mi ha chiamato subito, arrabbiatissimo: “Come fai a dirmi questo? Ma io te l’ho detto… la leggo subito”. Allora l’ha letta, ha deciso di accettare come attore.
E il personaggio di Luciano?
Il personaggio nasce da due ispirazioni.
Una mia principale che è quella di un uomo che assomigliasse ad una mia memoria del passato, quegli uomini del nostro passato che hanno vissuto la guerra… io mi ricordo ad esempio di mio padre che era stato sommergibilista, poi era andato via da Ascoli per molti anni a cercare lavoro all’estero e vedevo questa foto sua con i baffi, in uniforme.
Poi sicuramente ci saranno anche dei film che ho amato, qualcuno ci ha visto un po’ di Casablanca, altri dell’Ultimo Metrò. Di quest’ultimo ero consapevole: in questo film c’è, in qualche misura, una dichiarazione d’amore per quel cinema classico. Però è un film che non è solo trama, non è solo una bella storia.
Poi penso che la qualità di un regista sia non solo relativa al lavoro che fa con gli attori, di come organizza i costumi, di come immagina le scene, di armonizzare le scelte che si fanno di volta in volta, ma credo sia anche composta da quel magico accordo di cui parla Scorsese in New York.
Poi devo dirti la verità: anche per Riccardo nel film c’è stato qualcosa che aveva a che fare con il suo passato. Anche lui mi parlava di suo padre, quando parlavamo del personaggio, sicuramente questa cosa lo ha aiutato ad entrare in questa misura.
Inoltre, Riccardo era servito anche da una scrittura molto accurata: il suo personaggio non parla molto, quando parla dice cose essenziali, come quando parla con il giovane nascosto nella cantina, poi l’uso del voi. La lingua che ha Luciano, non solo il portamento, e il mettergli la giacca, la cravatta, i baffi, ben pettinato: tutti questi elementi potevano essere una costrizione, invece lo hanno valorizzato come attore, adesso che non è più un ragazzo. E lo hanno aiutato ad interpretare Luciano che, nonostante le sue apparenti convinzioni, è comunque un personaggio che ha qualche valore, che nonostante non abbia capitalizzato le sue simpatie per il fascismo, ha preferito starsene un po’ in disparte, ha le sue regole, non vuole guai.
Io poi, oltre al cinema, amo anche tanto la letteratura classica, quindi le ispirazioni per le storie sicuramente vanno cercate in quegli scaffali della memoria di lettore e di appassionato di cinema.
Infine, mi sono trovato molto a mio agio con gli altri due sceneggiatori che con me hanno scritto la storia, che sono Gualtiero Rosella e Annick Edmin, abbiamo passato un tempo molto bello di continua scrittura, al tavolino: è stato bello immaginare questa storia e ancora più bello vederla sullo schermo, è come se si fosse arricchita.
Mi ha colpito la sdoganatura dell’ascolano e il rapporto del tutto naturale tra attori professionisti e non, da dove nasce questo?
Per tutto il film sono stato molto dentro alle scene dove c’erano gli attori locali, credo che tutti abbiano sentito quanto mi stesse a cuore che non ci fossero forzature, che non ci fossero scelte solo per compiacere lo spettatore ascolano, loro hanno fatto un gran lavoro anche di figurazione, di sguardi, di presenza. Non solo il ruolo di Flavia Alluzzi che fa l’aiuto cuoca o di Stefano Baldoni, che fa l’uomo che arriva da Roma con lo sguardo intimidatorio. Ci sono altri sguardi, altre movenze, anche della comparsa in fondo alla stanza magari fuori fuoco, tutti sono stati molto presenti, desiderosi di stare nel film anche con discrezione, senza mettersi in mostra, si è formata una grande alchimia. Ed è vero che non si nota. Così come l’ascolano non è invasivo, non vuole essere componente macchiettistica.
Il film sta andando bene, ho letto ottime recensioni.
Si sta andando bene. Ha risentito come tutto il settore della guerra in corso, che è scoppiata il giorno dopo la nostra conferenza stampa e ha tenuto la gente a casa. Però abbiamo avvertito anche nell’ambiente che il film avrà una vita lunga, un mio amico mi ha detto che sarà un classico del millennio, me lo auguro di vedermelo – se sarò ancora su questa terra – in televisione, o che qualcuno mi inviti ad una proiezione per ricordarlo. Penso che la storia di Luciano ed Anna ad Ascoli Piceno avrà una lunga vita. E poi c’è tutta una strada ancora da fare perché siamo appena usciti e adesso cominciano a muoversi per vendere il film all’estero, quindi c’è tutto un percorso da scoprire. Però sono sicuro, com’è sicuro anche Riccardo e coloro che dovranno sfruttare il film commercialmente, che avrà una lunga vita.
Date le premesse, un altro caffè con il sindaco Marco Fioravanti è in programma?
L’avevo detto al cinema Piceno, quando il sindaco ha raccontato che davanti ad un caffè l’amministrazione ha deciso di sostenere questo film: “Allora prendiamocene un altro!”. Sarebbe bello, soprattutto perché potrebbe nascere l’idea di fare un sequel de “L’Ombra del giorno”. O un prequel, chi lo sa?
di Stefania Mistichelli