La prima ordinazione diaconale della nostra parrocchia, dopo oltre cinquant’anni di attesa, è un evento che riguarda tutta la comunità; per questo festeggiamo insieme e celebriamo con gioiosa gratitudine. Questo ulteriore passo verso l’ordinazione sacerdotale del nostro fratello Luca Censori è il frutto di un cammino comunitario nella Chiesa, un segno di autentica speranza cristiana.
Pur consapevole di tutto questo, per me resta una questione molto più semplice: l’occasione di gioire con un amico che ha trovato la sua strada rispondendo alla sua vocazione.
La vocazione di Luca
Vocazione, voce del verbo “sentirsi amati”. Mi perdoneranno i puristi della lingua e dell’etimologia, so bene che la parola vocazione deriva dal verbo latino “vocare”, tradotto in genere con “chiamare”, ma proverò a spiegare perché per me la vocazione trova origine e senso nel “sentirsi amati” e lo farò provando a raccontare dal mio punto di vista la scelta che ho visto emergere e maturare nella vita di Luca.
Vocare è invitare, attrarre.
Non la chiamata ad un dovere, ad accollarsi un peso che non vuole più nessuno, ma l’invito a mettersi in gioco, a scoprire i propri talenti. Questa libertà l’ho sempre vista in modo evidente nel cammino che abbiamo condiviso con Luca, in Azione Cattolica. Anni di incontri, feste, campi scuola, riunioni, maniche “corciate”, serate infinite a preparare le ultime cose in ritardo… niente di tutto questo basta a spiegare la bellezza della strada che abbiamo condiviso, delle scoperte su noi stessi, dei nodi alla gola sciolti in un abbraccio.
Nonostante si renda evidente in questi impegni concreti di servizio, che dall’esterno possono apparire come il fine ultimo delle nostre azioni, il cuore della vita che condividiamo nella famiglia dell’AC, e in essa nella Chiesa, resta alla radice un cammino di fede. In questa consapevolezza fondamentale trovano ragione e senso tutte le fatiche, inevitabili, che portano a volte a sentirci dire “chi te lo fa fare”? La stessa domanda, ne sono certo, l’avrà ricevuta anche Luca raccontando la sua scelta di consacrare tutta la sua vita al servizio della Chiesa di Cristo. Se la risposta non fosse ancora una volta “rispondo ad un invito d’amore, ad un invito ad amare”, non credo potremmo parlare di vocazione.
Vocare è designare, indicare per lo svolgimento di un incarico.
Non tutti siamo uguali, non siamo intercambiabili. Siamo invece ciascuno unico e irripetibile. Credo sia anche per questo che il Signore ci chiama a percorrere sentieri differenti, unici, anche se intrecciati. Anche per questo ho potuto vivere la scelta di Luca con gioia e serenità, nonostante in qualche senso l’abbia portato ad allontanarsi dalla quotidianità associativa che abbiamo condiviso per anni, consapevole che era per il bene suo e di tutti, per allargare l’abbraccio e il servizio ancor più a tutta la Chiesa.
Vocare è anche nominare o denominare, cioè dare un nome.
È uno dei primi atti di responsabilità e amore dei genitori. Non a caso, come ogni bambino impara presto “chi ti ama ti chiama per nome”. Coincidenza (o forse no?) vuole che io condivida anche il nome col mio amico Luca. Credo che entrambi abbiamo sperimentato la cura e l’amore di una comunità che ci accompagna. E non credo sia un caso che tutti in questa comunità ci chiamino con dei soprannomi nati spontaneamente: lui è Luca “Cens”, io Luca “Spizzico”. Credo invece che anche questo sia un ulteriore segno della volontà di “vocarci”, di darci un nome, di chiamarci come si fa in famiglia, con affetto. E di nuovo non è un caso che con questa ordinazione a diacono la Chiesa darà a Luca ancora un altro nome, “Don”. Mi piace pensare che suoni proprio come “dono”, un dono per la vita di Luca, un dono per noi quale è sempre stato Luca. Ciononostante, non credo se ne avrà a male se per me resterà sempre “il mio amico Luca”.
di Luca Esposto