A poco più di un anno dal suo arrivo nella diocesi di Ascoli, e in occasione dell’arrivo del 2023, abbiamo intervistato il vescovo Gianpiero Palmieri.
Qual è il bilancio dell’anno appena trascorso e quali i buoni propositi?
Il bilancio che posso sottolineare, in particolare in riferimento alla comunità diocesana, è che sono molto contento di questa ripresa della comunità cristiana. Parlo di ripresa perché siamo nel post Covid, anche se segnato dalla guerra, è quindi un periodo di ripresa difficile sia dal punto di vista pratico, per il lavoro e per il generale impoverimento che le famiglie stanno vivendo, sia dal punto di vista più profondo degli atteggiamenti del cuore. Quello che stiamo vivendo – il terremoto, la pandemia e la guerra – produce dentro di noi un senso generale di malessere, un senso di sfiducia che è molto sottile ma molto pervasivo. Vedo i segni disagio che coinvolge le famiglie a più livelli.
Credo che la comunità cristiana stia reagendo molto bene. Vedo ad esempio un coinvolgimento nel cammino sinodale. Sicuramente non è facile – e forse questo a che fare con i buoni propositi – perché si sente questo senso di sfiducia. Allora bisogna incoraggiare. Come proposito, propongo a me stesso e a questa comunità un pizzico di follia divina; ci vuole un po’ di coraggio, un po’ di intraprendenza, forse semplicemente un po’ di creatività, anche nel percorrere il cammino dei Cantieri di Betania, attraverso iniziative coraggiose che significhino mettersi in dialogo con tutti, sperimentando nuove proposte pastorali.
A proposito del cammino sinodale, quali saranno le prossime tappe?
Come comunità cercheremo di metterci in ascolto di tutti, cioè delle persone con le quali normalmente non entriamo in relazione. Per esempio, per me è stato molto bello prima di Natale aver incontrato una fabbrica, aver parlato con gli operai, aver celebrato la messa con loro… e ho visto una grande attenzione. Tutti noi dentro ci portiamo domande di senso, ci chiediamo il perché della nostra vita, tutti abbiamo desideri di solidarietà, di prossimità agli altri e che qualcuno si faccia prossimo a noi. Quando ci si confronta sulle cose essenziali nella vita, vedo che c’è molta attenzione nelle persone, un desiderio forte di condividere e di parlare.
Questo è quello che ci aspetta: metterci in quest’onda dell’entrare in relazione. Io cercherò di offrire occasioni, di mettermi in prima persona in relazione e in ascolto, di parlare di iniziative di questo tipo, per incoraggiare un atteggiamento che non ci viene spontaneo. Non ci viene spontaneo entrare in relazione con coloro con i quali normalmente non lo faremmo, non ci viene spontaneo ascoltare invece che parlare. È veramente un lavoro di ascesi, nel senso più classico del termine, cioè avere dei motivi per farlo e decidere di farlo anche se ci costa.
Questo non sarà un periodo facile soprattutto per i poveri. La Caritas è da sempre in prima linea per aiutare chi è in difficoltà. Qual è la situazione in città e cosa si sta facendo?
La Caritas in collaborazione con le istituzioni porta avanti molte iniziative. In città c’è una buona prassi di collaborazione, che forse sarebbe da incentivare in Vallata e in montagna. I problemi vengono affrontati insieme.
Il vantaggio delle realtà Caritas è che sono “a bassa soglia”, cioè se magari una persona si fa problemi ad andare ai servizi sociali perché ha paura che poi si conosca la sua situazione, può essere più disponibile ad andare in chiesa, in parrocchia o al centro d’ascolto. Per questo i dati Caritas in generale sono abbastanza credibile.
Noi metteremo in atto tutto quello che possiamo: dal sostegno al pagamento delle bollette alla distribuzione del cibo attraverso l’Emporio o i luoghi di distribuzione della Vallata fino alla prossimità per le situazioni più delicate. Certamente importante sarà essere facilmente raggiungibili, senza che le persone sentano vergogna. Ma questo c’è sempre stato nella Chiesa. Da noi ci sono tre comunità francescane – conventuali, cappuccini e frati minori – e in queste realtà c’era sempre un frate mendicante che andava di casa in casa a raccogliere cibo, vestiti o soldi per aiutare le famiglie povere e quali fossero era il segreto del frate mendicante. Questa è una delicatezza che dobbiamo mantenere sempre.
Qual è l’augurio da farci il giorno dell’Epifania?
Alla comunità cristiana farei questo augurio, per ispirarmi al brano del Vangelo che viene proclamato il giorno dell’Epifania: viene raccontato il cammino di tre personaggi misteriosi chiamata Magi, non sappiamo neanche se fossero realmente tre e quale fosse la loro identità, se non che seguono una stella. È un’immagine molto bella: sono stranieri, sono di altre religioni e sono persone che si mettono in cammino perché hanno visto una stella, che prima di brillare nel cielo brilla dentro di loro.
Tanta gente è in cammino, che cosa segue? Talvolta un po’ di desiderio di felicità, qualche volta un po’ di sicurezza per sé e per la propria famiglia, qualche volte ha dentro di sé un sogno di giustizia o qualche volta cerca semplicemente un motivo per alzarsi la mattina ed essere contento di un sogno che comincia invece che sentirne il peso. Tanta gente sente il desiderio di quella pienezza che solo Dio può dare. Alla Chiesa e a me stesso chiedo di intercettare la ricerca di senso e di felicità perché abbiamo un Vangelo, una Buona Notizia da comunicare agli altri. In generale agli uomini e alle donne del nostro tempo direi di non soffocare questo cammino e questa ricerca. Talvolta questo cammino e questa ricerca vengono messi a tacere senza trovare una risposta, allora tiriamo a campare, ci stordiamo un po’, talvolta il “divertimento” qui non ci aiuta. Auguro un cammino più che un divertere dai cammini più profondi della nostra vita.
L’intervista è andata in onda su radio Ascoli nel giorno dell’Epifania, puoi riascoltarla qui.
di Stefania Mistichelli