“L’Annunciazione con sant’Emidio”, detta anche “Annunciazione di Ascoli”, è un dipinto eseguito nel 1486 da Carlo Crivelli. Insieme ad altri capolavori del Rinascimento italiano è visibile nella National Gallery di Londra. Concentrandosi sulla tela si resta colpiti dal fatto che il santo vescovo – collocato accanto all’Angelo, all’esterno della stanza della Vergine – abbia tra le mani il plastico della Città. Il dettaglio è sufficiente ad intuire l’Ascoli del Cinquecento. E ciò basta a persuadersi che S. Emidio è ben più che il patrono. È’, in realtà, il padre. La qual cosa è rilevante per il fatto che oggi ad essere in crisi è proprio la paternità, col rischio di perdere il senso della comunità e di una comune appartenenza.
La festa annuale di S. Emidio, per contro, rappresenta un potente antidoto a questa “evaporazione” del padre (Lacan), la cui figura nel frattempo è divenuta “problematica, incompiuta e inquieta” (P. Ricouer). Occorre in un tempo di crisi, in cui la struttura patriarcale è andata (fortunatamente!) in crisi, provare a ricostruire un processo di paternità, di cui si avverte l’urgenza perché senza padri non si danno figli e si interrompe il processo vitale della trasmissione dell’esistenza.
Ciò che conta è avere bene in mente alcune evidenze elementari.
La prima è che padri non si nasce… lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. La disponibilità è la forma di questa paternità che si manifesta come una vicinanza che non si impone, ma rimanendo nell’ombra consente all’altro di percepire un’affidabilità che apre al dialogo e alla fiducia. E’ l’altro volto dell’autorità che, a differenza del potere, fa crescere. Il vangelo conferma che la fede sboccia grazie ad una relazione di vicinanza, a un gesto che tocca e guarisce, alla compassione di un cuore capace di assumere la fatica altrui. Ci vuole una postura umile che condivida la fatica di vivere.
La seconda evidenza è che il padre è lo sguardo necessario per crescere. Non meno che quello della madre, nei cui occhi si condensa il nostro affaccio sulla vita. A pensarci, perfino Gesù ha avuto bisogno dello sguardo tenero di Giuseppe che lo ha aiutato a sbocciare, giorno dopo giorno. Bisogna lasciarsi coinvolgere da uno sguardo di tal fatta, come scrive papa Francesco:
“Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. E’ la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità” (EG, nn 88 e 288).
La paternità matura è quella di chi senza ipocrisia sa portare le proprie fragilità e, al tempo stesso, aiutare l’altro ad aprirsi all’orizzonte della vita.
La terza evidenza è che il padre sa accogliere, senza ambiguità. Essere padri significa introdurre il figlio nella vita senza trattenerlo, senza imprigionarlo, senza possederlo, lasciandolo libero di scelte, di partenze, perfino di errori. Senza, peraltro, mai venir meno al compito di e-ducare che è il contrario di se-durre. E’ tempo di chiedersi con onestà se per caso la tendenza invalsa non sia piuttosto quella di limitarsi a compiacere, sottraendosi alla responsabilità di “trarre fuori” (e-ducere) da quella condizione informe che è l’adolescenza che è un cammino verso l’età adulta e che sembra talvolta prolungarsi indefinitamente.
Sant’Emidio è stato padre, nonostante la sua giovane età, perché ha saputo prendersi cura dell’altro, ha avuto uno sguardo tenero che ha irradiato il Vangelo, è stato accogliente senza mai voler ricondurre alla sua persona. Il suo essere padre aiuti tutti a ritrovare questa esperienza basilare che fa scorrere la vita e la porta a compimento.
Monsignor Domenico Pompili