Il Vescovo Domenico sulla ricostruzione post-sisma
“Accelerare ancora di più”
di Domenico Pompili*
Il 6 maggio 1976, cioè 45 anni fa, poco dopo le 21, in Friuli un terremoto di 6.4 della scala Richter rase al suolo Gemona, Venzone, Buja e Majano, causando quasi 1000 morti e circa 80mila sfollati. Ma il colpo di grazia era ancora di là da venire. Il 15 settembre dello stesso anno, infatti, venne giù anche il campanile di Venzone e i pochi muri rimasti in piedi crollarono definitivamente. Quando le speranze sembravano del tutto sepolte, in realtà, si avviò la ricostruzione.
Il cosiddetto “modello Friuli” che in nome del “dov’era com’era” numerò ogni pietra per rimettere in piedi non solo i monumenti, ma anche le case di ciascuno. Ovviamente, non avvenne tutto in un baleno. Il Duomo di Venzone che è, insieme, a quello di Gemona il simbolo della ricostruzione per anastilosi, cioè con i pezzi originali rimessi al loro posto uno per uno, iniziò il suo iter di catalogazione delle pietre nel 1982. Nel 1988 partì il cantiere e nel 1995 il Duomo fu riconsegnato finalmente alla Città.
Il modello del Friuli
Ricordare il terremoto del Friuli non è solo un atto dovuto in questo giorno, ma anche una speranza concreta che mai deve abbandonarci, anche se nel centro Italia non registriamo ancora i risultati sperati, in base alle tante promesse. Occorre però non dimenticare che il pregio del modello Friuli furono una serie di concause. Tra le tante due vanno richiamate:
- La prima fu lo Stato che si impegnò direttamente con la nomina di un Commissario, cui fu dato la possibilità di agire “in deroga” a tutte le leggi ivi comprese quelle sulla contabilità generale dello Stato.
- La seconda furono i friulani stessi, nelle cui vene scorre sangue asburgico e che si dimostrarono attivi e non passivi.
L’augurio è che anche da noi dove si registra – nonostante il coronavirus – una accelerazione (basti vedere le gru anche nella Città di Ascoli) si corra ancora di più, sia nella direzione di uno Stato più snello e veloce, sia nella direzione di cittadini più partecipativi e creativi.
Reagire insieme e non da soli
Una cosa insegnano tragedie come quelle del Friuli o di Amatrice o di Arquata del Tronto. Bisogna reagire insieme e non da soli, bisogna farlo stando tutti dalla stessa parte e mai dividendosi. La preghiera è che il tempo che passa non indebolisca, ma alimenti il desiderio di rigenerare la nostra terra. Ancor di più facendone un’occasione di sviluppo dopo questa crisi della pandemia.
*Vescovo di Rieti ed Amministratore Apostolico di Ascoli Piceno