Carissimi fratelli e sorelle,
l’itinerario quaresimale, che abbiamo iniziato, ogni anno ci viene offerto come «tempo favorevole» (2Cor 6,2) di rinnovamento ecclesiale, personale e comunitario, per prepararci a celebrare in pienezza il mistero pasquale di Gesù, la sua morte e resurrezione, il suo passaggio dalla morte alla vita eterna.
Come ogni buon escursionista che prima di partire si prefigge la meta da raggiungere e ricerca il sentiero più adatto per arrivare alla cima, così in questo messaggio vorrei ricordare con voi dove il cammino quaresimale ci conduce e quale sentiero ci invita a percorrere per giungere alla sua meta.
La meta dell’itinerario quaresimale
Meta dell’itinerario quaresimale è fare Pasqua con il Signore, come lui stesso vuole: «ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi» (Lc 22,15). Il cammino quaresimale, infatti, non ci chiama ad uno sforzo ascetico fine a stesso, ma ha il suo fine e il suo culmine nella Pasqua di Resurrezione di Cristo, nella quale si rinnova e si fortifica la vita di ogni fedele cristiano e, attraverso essa, quella dell’intera comunità ecclesiale, infatti: «colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rom 8,11). In questi tempi, in cui a volte ci sentiamo come superstiti da crisi economiche, sanitarie, diplomatiche – come anche da crisi relazionali consumate tra le mura domestiche o nei luoghi di lavoro – assistiamo ad una veloce e drammatica diminuzione del tasso di speranza e di positività, sia sul piano personale che collettivo (e questo accade anche in ambito ecclesiale!); di conseguenza potremmo essere dubbiosi o poco interessati alla resurrezione come se fosse solo un dogma di fede da relegare alla recita del Credo domenicale. Ma che cosa può dirci ancora la resurrezione di Cristo? Che cosa significa per noi, per la nostra comunità ecclesiale, e anche civile, passare dalla morte alla vita? Facendo nostre le parole dell’evangelista Marco, potremmo chiederci: che cosa vuol dire risorgere dai morti? (cfr. Mc 9,10).
Per rispondere a questa profonda domanda – che, in un certo qual modo, non può che interrogare la vita di fede di ogni cristiano – più che una risposta dottrinale, vorrei con voi attraversare quel sentiero che, come accennato prima, ci conduce a vivere, e poi a comprendere, che cosa significa “vivere da risorti”. Il sentiero, che in questa Quaresima invito tutti a percorrere, ci viene aperto dalla Parola di Dio, precisamente dai vangeli che ascolteremo nelle cinque domeniche di Quaresima. Come infatti la Parola ha guidato il popolo d’Israele da una terra di schiavitù e morte ad una terra di libertà e vita, così lasciamoci condurre docilmente e con fiducia per farci condurre a «Cristo nostra Pasqua» (1Cor 5,7).
Ho pensato di suddividere l’itinerario quaresimale in cinque tappe, una per ogni domenica di quaresima, caratterizzato da una parola chiave desunta dai Vangeli stessi. Anche nella Statio quaresimale, quest’anno in Vallata e in Montagna, ci faremo guidare da questi cinque Vangeli.
Prima tappa: “stare” (Mc 1,12-15)
Nella prima domenica di Quaresima ascoltiamo il brano evangelico di Marco che narra l’esperienza di Gesù nel deserto. Sospinto dallo Spirito, egli si trova a trascorre quaranta giorni nel deserto, tentato dal demonio. Questo breve racconto ci porta a riflettere su che tipo di esperienza ha fatto Gesù, e quale passo dobbiamo muovere noi nel cammino del rinnovamento. Il deserto, anzitutto, più che un luogo geografico, è una condizione necessaria in cui lo Spirito ci sospinge, ci espone. Il deserto per antonomasia richiama la solitudine, lo stare soli con sé stessi, qui si sperimenta la precarietà della vita. Il deserto aiuta a distinguere ciò che essenziale da ciò che non lo è, mette alla prova la verità di noi stessi, e in questo senso ci purifica, cioè ci libera dalle nostre ipocrisie e ambiguità.
Il vangelo specifica che Gesù non era da solo nel deserto, ma «stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (Mc 1,13). Questa annotazione dell’evangelista può aiutarci a comprendere cosa per noi significa saper stare con le “bestie selvatiche e con gli angeli”. La menzione degli animali selvatici può riportarci alla mente ciò che li caratterizza: istinto, pulsioni, pensieri e sentimenti negativi, lotta, dominio, tenebra. Mentre l’accenno agli angeli può evocare delicatezza, pace, beatitudine, bontà, e luce. Il saper stare di Gesù in mezzo a questi due soggetti distinti e contrari tra loro, denota una certa sapienza che può aiutarci a riflettere. Spesso siamo in balia di noi stessi e dei nostri moti “interiori”, non ci sentiamo liberi nel nostro agire, ci avvertiamo o troppo condizionati o al contrario troppo “selvatici” nel rapporto con gli altri, al contempo desideriamo una vita più pacifica e buona. Ciò ci può far cadere in una sorta di depressione e in una forma di continua insoddisfazione verso la vita. Lo stare di Gesù tra le bestie e gli angeli, ci aiuta a cambiare punto di vista su noi stessi: la nostra beatitudine interiore, infatti, non dipende dall’eliminare una parte “meno buona” a favore di un’altra “più buona”, ma dal saper riconoscere e accogliere con pazienza e umiltà la nostra natura di creature fatta di luci come di ombre, di terra come di spirito, di peccato come di grazia. Imparare la sapienza dello stare di Gesù, ci permette di superare la nostra divisione interna e a fare unità dentro di noi.
La Quaresima è il tempo della riconciliazione e questa avviene prima di tutto in noi stessi. Ritagliarsi in questo tempo quaresimale dei momenti di “deserto”, liberandoci da tutto ciò che è superfluo, può aiutarci a ritrovare quella unità interiore a cui tanto aneliamo, consapevoli che è lo Spirito che ci muove a farlo. D’altronde il rinnovamento ecclesiale intrapreso non può che partire da un cuore rinnovato: «insegnami Signore la tua strada, potrò camminare nella tua verità, donami un cuore unificato, perché abbia timore del tuo Nome» (Salmo 86).
Seconda tappa: “ascoltare” (Mc 9,2-10)
Il vangelo della seconda domenica di Quaresima narra l’episodio della trasfigurazione di Gesù davanti ai suoi apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. L’evangelista Marco narra che dalla nube una voce disse: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9, 7). Ascoltare, infatti, è la parola che può guidarci in questa seconda tappa. Sul monte, Gesù manifesta di essere la Parola di Dio rivolta all’umanità, di qui l’invito della voce del Padre ad ascoltarlo.
Come si ascolta la Parola di Dio? Come Chiesa che ha intrapreso il cammino sinodale, abbiamo più e più volte richiamato l’attenzione sull’importanza dell’ascolto della Parola di Dio, sia individuale che in seno alla comunità. Vorrei ora, soltanto dar voce ad alcune riflessioni tratte dal brano evangelico sopracitato.
Il vangelo di Marco descrive chiaramente come si ascolta la Parola di Dio: in disparte e insieme. Ascoltare la Parola di Dio, infatti, non è solo un buon esercizio personale, ma è anzitutto un fatto comunitario. La Parola si rivela pienamente quando c’è una comunità che si riunisce, si mette in disparte e cerca di ascoltare cosa lo Spirito le dice. Come infatti la Parola di Dio ha fondato e costituito il popolo dell’Alleanza durante il pellegrinare nel deserto, così oggi la Parola continua a rinnovare e guidare la comunità nella quale si manifesta. Pertanto, l’ascolto della Parola non può essere intrapreso come un atto devozionistico o semplicemente intellettivo, e soprattutto non è la premessa alle nostre riunioni, ma è un atto creazionale, per cui quando ci poniamo in ascolto della Parola permettiamo ad essa di ricreare il nostro cuore, rinnovare il nostro essere e questo vivifica veramente la nostra comunità: «Ossa inaridite, ascoltate la Parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo Spirito e rivivrete» (Ez 37, 4-5).
La “gaffe” dell’apostolo Pietro dinanzi alla trasfigurazione di Gesù, può in un certo senso consolarci. Di fatto, l’ascolto della Parola non richiede di capire tutto e subito, lungi dalla tentazione di leggere la Parola e trarne subito delle indicazioni morali da mettere in pratica: non siamo noi che dobbiamo fare la Parola, ma è la Parola che fa noi. Per cui anche un certo grado di incomprensione è legittimo averlo, perché la Parola è più grande di noi, ci supera e ci sovrasta: «quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55, 9). Maria stessa, non comprese immediatamente la Parola, ma per questo non si tirò indietro, ma accolse la Parola e questa in lei divenne realmente carne.
La presenza di Mosè ed Elia, accanto alla figura di Gesù, ci suggerisce qualcosa. Come Mosè che liberò, guidò e istruì il popolo d’Israele, così la Parola libera da ogni forma di schiavitù (anche religiosa), guida la nostra comunità verso la libertà e ci istruisce circa la volontà di Dio su di noi. E come Elia riaccese come fuoco lo zelo per Dio nel cuore tiepido del popolo d’Israele, così la Parola può riaccendere la passione, spesso fioca, nelle nostre assemblee, dare nuovo slancio e vitalità alla nostra evangelizzazione: «ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9). Tuttavia le figure di Mosè ed Elia ci ricordano anche le conseguenze possibili di chi si pone in ascolto della Parola: impopolarità, incomprensione e a volte isolamento. Lo sappiamo: Gesù non ha promesso il successo ai suoi discepoli, ma la vita, quella vera.
Il cammino quaresimale che abbiamo intrapreso potrebbe a volte stancarci, o forse farci tornare sui nostri passi. Per giugnere alla meta della resurrezione non bastano i buoni propositi di conversione e di rinnovamento comunitario: con il tempo potremmo non avvertirli più! Occorre un altro che dal di fuori ci sostenga, ci guidi e ci incoraggi e questo può farlo solo l’ascolto della Parola di Dio.
Terza tappa: “allontanare” (Gv 2,13-25)
Dalla terza domenica in poi, in questo cammino quaresimale non ci accompagnerà più il Vangelo di Marco, ma quello di Giovanni. Partiamo dal brano che narra la cacciata dei venditori dal Tempio da parte di Gesù. La parola che ci viene incontro da questo brano evangelico è “allontanare”, che nel testo giovanneo traduce la stessa parola greca del verbo “scacciare”. Da che cosa allontana o si allontana Gesù? Egli allontana dal Tempio «casa del Padre» (Gv 2,16) tutto ciò che non ha a che fare con l’amore del Padre: interesse, speculazione, traffico, affari. È la logica del mercato che entra e intossica lo spazio sacro della gratuità, dell’accoglienza, della donazione e della riconciliazione. Gesù, comportandosi in modo collerico, rovesciando nel Tempio tutto ciò che appartiene alla logica del mercato, non fa altro che gridarci che le due cose non possono convivere non solo nello stesso spazio, ma anche nello stesso cuore del discepolo come nel cuore della comunità cristiana: «nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24). Quanta strada abbiamo da fare per allontanare la logica del mercato dalla nostra comunità ecclesiale: difesa di interessi di parte, ricerca di profitti personali, smania di coprire posizioni rilevanti, spirito concorrenziale, circoli privati, ecc. … Tutto ciò sfigura il volto del discepolo di Cristo, infetta le relazioni “commercializzandole”, e ammala la comunità cristiana.
Quando avvertiamo che nella nostra comunità ecclesiale vige un certo immobilismo, un’aria di indifferenza, un conservatorismo ad oltranza, domandiamoci se il virus del mercato non ci abbia infettato! Se così fosse facciamo come Gesù allontaniamo ciò che con il Vangelo non c’entra: abbiamo il coraggio anche noi di rovesciare quei modi di fare – e anche quei modi di dire (chiacchiere, maldicenze, pettegolezzi, fake news) – che deturpano il volto della nostra Chiesa locale.
Il cammino quaresimale è anche tempo di esaminare su questo punto noi stessi e la nostra comunità. Un vero rinnovamento ecclesiale non può che iniziare da una comunità che confessa con coraggio di essere ammalata e per questo bisognosa di guarigione: «non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mt 9,13).
Quarta tappa: “rinascere” (Gv 3,14-21)
Il vangelo di Giovanni della quarta domenica di Quaresima, ci narra il dialogo notturno tra Gesù e al fariseo Nicodemo, membro del Sinedrio. Sappiamo che Gesù lo “provoca” dichiarandogli che deve rinascere: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5).
Il dialogo è un alternarsi di domande di Nicodemo a risposte date da Gesù, ad evidenziare la sete di ricerca che anima il cuore di Nicodemo. Il vangelo specifica che questo colloquio si tiene di notte. In questa indicazione temporale è contenuta, in un certo modo, la descrizione della condizione esistenziale di Nicodemo: un uomo che vive il “buio” della vita, cioè quando ci si sente soli, smarriti, e si ricerca un senso da dare alla propria esistenza – e in essa anche alla propria fede – ma non si trovano o non si vedono punti di riferimento o luci che possano orientarci. Nicodemo è in ricerca di qualcosa e Gesù gli fa capire che non basta “sapere”, ma occorre “rinascere dall’acqua e dallo Spirito”, cioè, essere coinvolto in tutta la sua persona e illuminato dalla Luce che viene dall’Alto.
La rinascita battesimale a cui allude il vangelo di Giovanni può aiutarci comprendere meglio questa tappa quaresimale. Tutti noi infatti siamo venuti alla fede per mezzo del Battesimo, ma spesso abbiamo rinchiuso questo sacramento nella scatola dei ricordi, in un passato ormai lontano da noi che non ci tocca più. In realtà la forza rinnovatrice del Battesimo non inizia e termina nel giorno in cui l’abbiamo ricevuto, ma continua per tutto il corso della vita. L’esistenza del discepolo di Cristo, come di un’intera comunità ecclesiale vive sotto questo continuo flusso di rinascita dall’ acqua e dallo Spirito e ogni volta che facciamo esperienza del grande amore che Dio ha per noi – «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16) – questa “corrente spirituale” ci riaccende, ci trasforma, rinnova le nostre relazioni e ci fa accogliere la novità del Regno di Dio nella situazione in cui ci troviamo. Questa è quella rinascita che la Quaresima ci invita a compiere, un passare dalla morte alla vita, un rigenerare la visione di noi stessi, degli altri e del mondo. Se vogliamo seguire il Signore Gesù, abbiamo bisogno urgente nella nostra Chiesa di vivere nel dinamismo di una continua rinascita. Spesso siamo stati distratti e non ci siamo accorti della novità a cui il Regno di Dio ci chiamava, ci siamo girati altrove e abbiamo continuato con le nostre abitudini, così facendo non abbiamo permesso a quel flusso di acqua e di Spirito di scorrere né in noi né negli altri, vivendo più da condannati che da figli rinati: «chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato» (Gv 3,18). Abbiamo bisogno di rinascere, di lasciar rinnovare i nostri occhi e il nostro cuore dall’amore di Dio che continuamente viene a visitarci nelle notti buie della nostra vita.
Quinta tappa: “servire” (Gv 12,20-33)
La quinta domenica di Quaresima ci presenta, nel vangelo di Giovanni, l’incontro di Gesù con i Greci, nel tempio di Gerusalemme prima della festa di Pasqua. In questa ultima tappa del nostro itinerario quaresimale vorrei soffermarmi sul termine “servire”: «se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (Gv 12, 26). Per comprendere cosa Gesù intenda per servire, ascoltiamo cosa ha detto poco prima: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 24 – 25). Servire è morire e odiare la propria vita in questo mondo, entrare nella terra e diventare fecondi donando la vita.
Questa donazione ha tre caratteristiche: servire è dare, ma è anche ricevere: il servizio che un discepolo del Signore o che una comunità ecclesiale offre, quando è fatto con vero spirito di carità e abnegazione, non solo migliora la vita di chi lo riceve, ma al contempo rinnova l’esistenza di chi lo compie. Quante volte ci è capitato che al termine di un servizio non abbiamo accusato nessuna o poca fatica, e ci siamo sentiti più sereni con gli altri e soprattutto con noi stessi? Il servizio, infatti, dona identità a chi lo fa, moltiplica i talenti investiti, gratifica nell’atto di compierlo. Chi serve, come il chicco di grano, non solo dona vita, ma la riceve moltiplicata, «se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24).
bisogna odiare la propria vita in questo mondo: per servire è necessario odiare la vita in questo mondo. Con ciò il Signore Gesù non vuole disprezzare né la vita né il mondo, ma un certo modo di vivere che definiremo “mondano”. La logica mondana è quella che pone al centro se stessi, o il proprio club, con i propri interessi o vantaggi da perseguire a discapito degli altri: protagonismo a tutti i costi, narcisismo alla ricerca di una continua ammirazione da parte degli altri. Così facendo la logica mondana davvero può falsificare il servizio – anche quello ecclesiale – e renderlo più un servizio a sé stessi che agli altri, «hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge» (Ez 37,8).
per servire è necessaria la fede: «se uno serve me» (Gv 12,26). Servire è sempre servire Gesù. Non basta la buona volontà, uno spirito altruista, o un curriculum di tutto rispetto – soprattutto per servire la Chiesa e nella Chiesa – è necessaria la fede che motiva e sostiene il servizio: «Ecco il mio servo che io sostengo» (Is 42, 1). Fede significa che quello che facciamo è una risposta d’amore all’amore di Dio, e così nel servizio non serviamo soltanto gli uomini, ma anche Dio stesso.
L’itinerario quaresimale che abbiamo fin qui descritto in queste cinque tappe, può non solo guidarci verso la Pasqua del Signore, ma ci consente di vivere ogni giorno la nostra Pasqua di Resurrezione. Ogni volta, infatti, che riusciamo a “star” dentro i nostri deserti per ritrovare la nostra autenticità, ogni volta che ci poniamo in “ascolto” della Parola di Dio che invita a rinnovarci, ogni volta che con coraggio e franchezza “allontaniamo” ciò che non ha a che fare con il Vangelo di Gesù, ogni volta che “rinasciamo” con occhi e cuore nuovo, ogni volta che “serviamo” con gratuità e dedizione, allora passeremo dalla morte alla vita e dalle tenebre alla luce.
Auguro di vero cuore di compiere questo passaggio ad ognuno di voi, come a tutta la nostra chiesa diocesana, e in ultimo anche a me vostro fratello in Cristo.
Buon cammino quaresimale
Ascoli Piceno, 14 febbraio 2024, Mercoledì delle Ceneri
+ Gianpiero