LO FAREMO INSIEME: Intervista a monsignor Gianpiero Palmieri, vescovo di Ascoli Piceno

“Discerniamo insieme, decidiamo insieme e lavoriamo insieme”

Queste parole, ed il sorriso con cui vengono pronunciate, allargano il cuore di una comunità che accoglie con un abbraccio il nuovo Pastore.

Monsignor Gianpiero Palmieri inizia il suo cammino nella diocesi di Ascoli Piceno all’insegna di un motto che rivela molto della nuova guida: “Architrave della chiesa è la misericordia”.

 

Eccellenza, un motto che rimanda subito a Papa Francesco ed è in italiano…

Ho scelto di mettere il motto in italiano perché fosse comprensibile a tutti. E’ una frase presa dalla Bolla con cui Papa Francesco indice il Giubileo della Misericordia. Nell’edificio che è la Chiesa, la trave, ciò che regge tutto nel punto più alto, è la Misericordia. La Misericordia è quello che ci viene da Dio ma, nello stesso tempo, la Misericordia ricevuta da Dio diventa l’elemento fondamentale che garantisce la stessa coesione ecclesiale. L’idea che l’architrave, che tutto regge e che rilancia verso l’alto, sia la Misericordia dice qualcosa di profondo della vita della Chiesa.

Una delle sue affermazioni che ha colpito molto è stata “i poveri sono poveri”, senza fare discriminazioni, classificazioni o graduatorie. La realtà della povertà è qui piuttosto diversa da quella che ha vissuto nella Capitale. Ora che diventerà Vescovo in una nuova realtà, come cambierà la sua sensibilità rispetto a questo tema?

Tutti siamo poveri e tutti siamo chiamati ad esserlo. Siamo poveri perché ognuno di noi vive una vulnerabilità: solo ci distinguiamo tra chi è consapevole e chi non è consapevole di averla. Ovviamente un posto privilegiato nel cuore di Dio ce l’hanno i poveri nel senso comune. Cioè coloro che non hanno le stesse risorse che hanno gli altri per vivere: risorse economiche, risorse culturali, risorse lavorative. Dall’altra parte, però, tutti siamo chiamati a diventare poveri, in un’accezione profondamente evangelica. Il Vangelo ci dice che Dio trasforma il mondo nel Regno di Dio attraverso i poveri: persone che non sono piene di se stesse ma sono piene della fiducia nel Signore. Dio non trasforma il mondo attraverso i sapienti, i nobili, i ricchi o i potenti ma attraverso tutti coloro che capiscono che sono chiamati a farsi piccoli e poveri.

C’è una fascia di persone che ha bisogno di attenzione e di intervento: parliamo dei giovani. Come coinvolgerli e soprattutto appassionarli ad un cammino a partire da una sensibilità in loro presente che, seppur diversa, non è persa?

I giovani hanno bisogno di una cura particolare e lo dico sia dal punto di vista della società civile che dal punto di vista della Chiesa. Sono portatori di un potenziale enorme. Papa Francesco spesso cita una frase del Profeta Gioele. “I vecchi condividono con i giovani i loro sogni, anche quelli che non sono riusciti a realizzare, e i giovani avranno visioni.” Bisogna metterli in contatto. Dobbiamo mettere in condizione i ragazzi di sognare, di avere visioni: tireranno fuori il più bello che hanno nel cuore e questo farà bene pure a noi.

Uno dei luoghi importanti per la formazione dei giovani è la scuola. Lei ha avuto una mamma maestra elementare e quindi immagino che abbia avuto il tema in casa da sempre. La scuola può tornare ad essere uno dei luoghi educativi significativi?

Si, la scuola ha le potenzialità per esserlo e ne ha ancora di più se si inserisce in un contesto sociale che la sostiene, la promuove e la valorizza. Nell’opera educativa con i ragazzi, tramite la mediazione della scuola, contribuiscono tutti e sicuramente anche la Chiesa, pensiamo alle parrocchie e agli oratori. Questo fa sì che la scuola diventi il trampolino di lancio per la vita dei ragazzi e per il loro inserimento sociale. Per me è stata un’esperienza straordinaria collaborare ai progetti formativi delle scuole del territorio dove sono stato parroco e collaborare con il collegio dei docenti. Credo che una delle cose più interessanti sarà incontrare il mondo della scuola della diocesi.

Nello zaino lei ha appunto anche l’esperienza di parroco e, tra le altre, anche in qualche zona difficile di Roma. Cosa ha messo nello zaino per venire come vescovo ad Ascoli?

Prima di tutto una necessaria duttilità. Il modello della parrocchia è ovviamente in trasformazione. Papa Francesco dice sempre che viviamo un cambiamento d’epoca, non un’epoca di cambiamenti. Certe volte nella diocesi di Roma si passa da una parrocchia all’altra e si ha la percezione di un mondo molto diverso. Tengo tutte le esperienze che ho vissuto nello zaino come un bel bagaglio, però so benissimo che non si tratta di esportare modelli che funzionano altrove e che qui potrebbero non funzionare, ma di collaborare insieme per pensare, per progettare, per sperimentare, per realizzare, in sostanza chiedendo al Signore “Ma Tu che cosa vuoi dalle parrocchie della diocesi di Ascoli Piceno?”.

Lo faremo insieme: Intervista al nuovo Vescovo - particolare

Mi ha fatto venire in mente il richiamo all’ascolto del “grido della città”, fatto spesso dal cardinale De Donatis. La diocesi di Ascoli indubbiamente ha sofferto. Come si può raccogliere il suo grido, di richiesta e non di protesta, nei confronti del nuovo Pastore?

Sicuramente, da parte mia, si tratta di ascoltare ma anche di ascoltarci, tra di noi. Nell’Esodo Dio dice a Mosè: “Scendi in mezzo al popolo e ascolta il grido”. C’è un grido udibile e uno nascosto e si tratta veramente di ascoltare il grido di tutti. Quando si vive un’esperienza faticosa, da una parte è necessario ascoltarla, dall’altra si tratta di fare un passo in avanti. Per la Chiesa il passo in avanti non avviene nel momento in cui parla dei problemi che ha all’interno ma nel momento in cui trova se stessa fuori di se stessa. Quando si proietta fuori nell’ascolto del grido della città. Lasciamo che il Signore metta il balsamo sulle ferite e forse il vescovo è anche al servizio di questo balsamo. Ma dopo ascoltiamo Il grido della città perché abbiamo un tesoro, quello del Vangelo, che è troppo bello per tenerlo tra di noi ed è da diffondere. Mentre facciamo questo, ritroviamo noi stessi.

Come dare ora concretezza al cammino sinodale evitando che resti solo una parola d’ordine?

La cosa importante è ripartire da Dio e dal Vangelo e ascoltare quello che lo Spirito dice alla Chiesa. Per evitare che un piano pastorale diventi uno slogan è necessario non enfatizzarlo, considerarlo come strumento e non come assoluto. Nella mia vita, anche di Vescovo, ad un certo punto ho smesso di parlare di piano pastorale ma sempre di cammino. La programmazione è sicuramente utile ma talvolta certe espressioni ingabbiano le situazioni fino al punto che non c’è spazio nemmeno per il Signore. Invece la “variabile Dio” nel cammino ecclesiale è quella più importante. Il cammino sinodale sarà importantissimo anche per la diocesi di Ascoli perché l’obiettivo è quello di ascoltare lo Spirito: fermarsi per ascoltare. Questo evita di farci ricadere negli slogan, nei piani pastorali a cui nessuno crede, ai testi programmatici che vengono scritti e poi messi in libreria.

Lo faremo insieme: Intervista al nuovo Vescovo - particolare

Prima parlava di cambiamento di cambiamento epocale. Alla “vecchia epoca” appartengono figure di riferimento che, anche per lei, hanno rappresentato veri e propri testimoni: penso a don Sardelli o soprattutto a don Di Liegro. Qual è ancora oggi il loro insegnamento?

Figure come quella di don Luigi Di Liegro hanno avuto l’indubbio vantaggio di tenere conto di due dimensioni inseparabili: l’evangelizzazione come annuncio della fede e l’evangelizzazione come trasformazione del mondo nel Regno di Dio. Quando, nella vita concreta della Chiesa e nella sua dinamica evangelizzatrice, queste due dimensioni vengono separate ci sono sempre dei problemi. Pensiamo ad una Chiesa che annunci soltanto, senza preoccuparsi dei poveri: che credibilità potrebbe avere? Pensiamo ad una Chiesa che si occupi delle marginalità sociale, ma dimentichi la sua radice evangelica: diventerebbe una realtà sociale utile, ma priva della sua radice vitale.

L’aspettano 70 parrocchie sparse su 840 chilometri quadrati. Non dovrà più salire i palazzoni ma dovrà scalare qualche montagna. Tra i suoi tanti impeghi da Vescovo, E’ pronto a questo cammino in salita?

Sì assolutamente! Mi appassiona molto e, in questo momento della mia vita di Vescovo, questo passaggio lo sento come provvidenziale. La grande città ha tante possibilità ma anche enormi fatiche e talvolta soprattutto nel contatto con le persone pone al vescovo dei limiti oggettivi. Invece io sento che qui, insieme con il presbiterio parrocchiale, il servizio del Pastore può essere quello di una prossimità che tenga conto dei mondi individuali. Sento come se il mio ministero dovesse passare da una dimensione quantitativa ad una qualitativa e questo mi intriga molto. Non sono venuto con un discorso programmatico se non quello di camminare insieme tra di noi e soprattutto con il Signore. E poi… discerniamo insieme, decidiamo insieme e lavoriamo insieme.

di Lanfranco Norcini Pala

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