La recensione di “The Father – nulla è come sembra”

Diversi film da qualche anno a questa parte mi hanno colpito molto per la loro relazione con l’ambientazione e ho ammirato come è stata affrontata, e quindi mostrata, al pubblico in modo originale.

Nessun film con questa componente però è riuscito a sbalordirmi come quello di oggi: “The Father – Nulla è come sembra” del 2020 per la regia del francese Florian Zeller, in programmazione nelle sale del Nuovo cineteatro Piceno fino al 9 giugno.

Partendo dal 2017 con Madre! di Aronofsky, anche nel nostro Le sorelle Macaluso della Dante, così come nell’acclamatissimo Parasite, arrivando Sto pensando di finirla qui del 2020, a mio avviso si può assistere con stili e forme diversi a una focalizzazione particolare e viscerale sullo scenario.

Questo si trasforma in un elemento del tutto complementare alla regia, così come a tanti altri comparti tecnici, quindi necessario per la riuscita e in particolare per la piena comprensione del film.

Il film

Una villetta dispersa nel nulla finisce per essere simbolo del nostro spirito che si disintegra. In realtà una grande abitazione di lusso è un’enorme trappola e la casa d’infanzia rappresenta la nostra nauseante vita che lentamente s’incupisce.

Con coraggio e destrezza, Zeller esordisce alla regia cinematografica con questo eccelso The Father e decide invece di dedicarsi spassionatamente a un solo appartamento, in superficie ordinario e ordinato ma di fatto tetro e assai labirintico.

L’ambientazione

Entrando a piccoli passi nella visione scopriremo cosa ci nasconde ogni corridoio, ogni stanza all’apertura della porta. Tanti ricordi e sentimenti sono pronti dietro l’angolo a insidiarsi in modo ingannevole tramite silenzi misteriosi e incubi sinistri, esaltati da scelte registiche veramente persuasive e precise.

In questa ora e mezza scorrevolissima ci ritroviamo dunque a fare i conti con la difficoltosa routine dell’anziano Anthony, che poi cosi routinaria non è, senza mai abbandonare l’ambiente casalingo che in modo kafkiano, quasi escheriano, non smetterà mai di stupirci.

Ma ecco subito che il film si mette in discussione e ci spiazza perché proprio l’inizio e la fine avvengono all’esterno. Una Londra che, mostrataci marginalmente, dà un tocco gotico al tutto e della quale godiamo tramite gli occhi del protagonista solo in alcuni fuggevoli istanti alla finestra.

Uno fra tutti e a mio avviso il più emblematico, quello in cui un bambino tenta invano di giocare con un pallone rimediato con delle buste. Vittima del vento e della sua fragilità questo sfugge e il piccolo è costretto a riacciuffarlo di continuo.

Questa potrebbe benissimo essere una preziosa metafora del rapporto drammatico e allo stesso tempo comico tra Anthony e se stesso, sua figlia Anne e soprattutto la sua mente. Forse un’interpretazione assurda, giustificabile però dal fatto che ci troviamo in un film in cui non si rispettano i concetti di spazio e tempo e in cui a un certo punto tutti penseremo di essere per davvero nella mente del nostro caro protagonista.

I protagonisti

Nell’intera atmosfera surreale risultano comunque credibili anche i diversi momenti di intimità e di amore scambiati tra il padre e la figlia. Lei è una Olivia Colman sublime che solo in un secondo momento ho percepito come estremamente efficace per capire i vari non detti e gli stati d’animo di lui, Anthony Hopkins, altrettanto magistrale e strabiliante nel donarci ancora una volta una performance caratterizzata con notevole cura.

Le occasioni per scorgere questi delicati attimi nella relazione e trarne un messaggio positivo sono rare perché spesso saremo più impegnati a interrogarci a proposito del benessere di Anthony, messo continuamente a repentaglio colpo di scena dopo l’altro.

I tocchi gioiosi da parte del regista, come d’altronde molti particolari del film, sono inseriti nella pellicola con la stessa verosimiglianza seguita per raffigurare la malattia del padre. Così noi spettatori, come il personaggio principale, abbiamo un ricordo periferico e limitato della serenità e della bellezza, minimizzate a un caldo sorriso, una dolce carezza in particolare durante il sonno.

Non solo un film drammatico

Insomma: amore, compassione e tenerezza ma anche tanto timore, insicurezza e smarrimento in questa eccitante pellicola che prima di essere un semplice drammatico è un thriller di nicchia. Inoltre a tratti è un horror d’autore colmo di suspense che supera di gran lunga i classici film che raccontano di condizioni psicofisiche problematiche facendo leva su emozioni (e lacrime) semplici.

Guardando The Father – Nulla è come sembra, assistiamo al sovvertimento di questi stereotipi perché acquisiamo interamente il punto di vista della persona sofferente e non quello di coloro che la devono assistere o che si fanno carico delle sue sofferenze.

La decisione di farci abitare una dimensione a noi così sconosciuta e distante è alquanto ammirevole e piacevole perché essendo ben realizzata ci cala molto intensamente negli angoli più enigmatici e meschinamente remoti della psiche del povero Anthony.

Il risultato è una riproduzione e un’esperienza cinematografica senza precedenti e altrettanto frantumata, buia e infame che però mantiene in modo completo una coerenza sia tecnica che narrativa con il susseguirsi delle scene.

Al termine della proiezione credo proprio che vi sentirete strapazzati da questo vortice di film e di emozioni, un po’ come avviene per Anthony con il suo disturbo. Però, noi ci lasciamo risucchiare felicemente mentre l’anziano rimane succube della sua demenza senile che lo schiaffeggia e lo deride. Malvagia e inevitabile si presenta al nostro cospetto e il regista parigino non vuole fare altro che criticarla e annientarla, lasciandocene un ricordo odioso e marcio. Anche se poi la realtà tanto meglio non è.

di Francesco Baldoni