Sono passati 25 anni da quando abbiamo visto Michael Jordan in Space Jam allungarsi il braccio per la prima e ultima volta (grazie Looney Tunes). 25 anni dopo, l’emozione di trovarsi in sala a vedere il sequel di quel Space Jam, che ha fatto nascere in centinaia di bambini la passione per il basket (sottoscritto compreso), era tantissima e le aspettative sono state all’altezza. Più o meno.

LeBron James, campione di basket nell’NBA, sogna per i suoi figli un futuro radioso nel mondo del basket. Mentre il primogenito è felice di seguire quella passione, Dom il secondogenito è più tentato verso la strada di programmatore di videogiochi.

Effetto nostalgia

Partiamo dagli aspetti positivi del film: la trama è più complessa del primo e va a caratterizzare meglio sia il villain che i vari Looney, che è un piacere rivedere su grande schermo. LeBron come attore si dà da fare e dona profondità al suo personaggio, specie nel rapporto col figlio Dom. Don Cheadle nei panni del cattivo Al-G è fantastico: divertente, profondo, ha una vera motivazione di fondo. Per non parlare dell’effetto nostalgia che si prova per tutto il film. Tanti sono i rimandi al vecchio cult del ’96 che ti fanno scendere una lacrimuccia.

A che sport giocano?

Peccato che il basket non lo si veda così bene: ciò che ti chiedi costantemente è quale “sport” stiano giocando i personaggi. La sensazione è quella di trovarsi immersi in un videogame con personaggi assurdi, power-up casuali e regole strane.

Inoltre, stiamo vedendo un film o un gigantesco spot pubblicitario della Warner Bros?

In conclusione, all’uscita della sala mi sono trovato in un mix di emozioni strano: felice ed estasiato di aver ritrovato tanti “volti” ed elementi del vecchio Space Jam, ma contemporaneamente triste e deluso dall’ennesimo sequel che stravolge il precedente film (cult di turno anni ’90) col tentativo di svecchiarlo per renderlo appetibile alle nuove generazioni.

E la magia dov’è?

Di Leonardo Carboni e Federica Forlini