In occasione della retrospettiva dedicata a Fabrizio Gifuni, organizzata dal cinecircolo Don Mauro nel corso del Tempo di Monticelli, noi de La Vita Picena/Radio Ascoli abbiamo avuto l’opportunità di intervistare l’attore che ci ha raccontato la sua professione e quello che per lui è il rapporto tra storia e cinema.
Al cinema hai interpretato Aldo Moro, in Tv hai interpretato personaggi di grande importanza come Pippo Fava, Paolo VI, Franco Basaglia e Alcide De Gasperi. Si tratta di una scelta volontaria o casuale incentrare la parte della tua carriera sull’interpretazione di questi uomini dal grande valore sociale?
Diciamo che è un po’ casuale e un po’ volontario. In teatro scelgo io cosa fare e come farlo perché sono coinvolto dal punto di vista dall’ideazione. Al Cinema e in Tv mi diverte giocare ancora da interprete puro. La scelta di un film e di conseguenza di un personaggio è una scelta reciproca. Si tratta di qualcosa che mi viene proposto e poi io posso scegliere di fare o di non fare. Gli attori non accettano passivamente i ruoli: decidono! Credo, infatti, sia più interessante guardare alla carriera degli attori dal punto di vista dei film che hanno rifiutato di fare. Posso dirti che ho scelto deliberatamente questi ruoli perché ho avuto l’occasione che poi si è trasformata in una proposta.
Questi personaggi sono andati a comporre, questo non casualmente, una specie di mappa, delle tessere di un mosaico della nostra storia e questo è una cosa a cui tengo molto. Io reputo che uno dei danni maggiori che sia stati prodotti in questo paese sia la rimozione di una parte della memoria storia della nostra nazione. Il Cinema, il Teatro e le arti in generale possono svolgere un ruolo importante: emotivamente esse provocano un’accensione d’interesse da parte delle nuove generazioni nei confronti di capitoli di storia di cui non hanno mai sentito parlare. Il lavoro su Moro con esterno Notte e il lavoro fatto in Teatro sulle carte di Moro per me hanno un grande valore soprattutto per le nuove generazioni non perché la storia si debba studiare al cinema ma perché quest’ultimo può accendere la voglia di andare ad approfondire quei capitoli.
Nella scelta dei film c’entra il suo passato da tentato giurista? Questa sua voglia di giustizia è stata appagata dal suo lavoro in scena?
A questo non ho mai pensato! Io prendevo tempo! Da quando ho scoperto la bellezza e il piacere di questo lavoro in un laboratorio scolastico nel liceo della mia scuola ho sempre visto con ammirazione la possibilità di intraprendere questa strada. Ci è voluto un po’ perché impiego sempre molto tempo a fare delle scelte importanti per la mia vita, sono molto prudente, ma nel frattempo che mi decidevo mi sono quasi laureato in legge. Mi ha sorpreso sapere che esistono moltissimi attori che prima di affermarsi hanno studiato giurisprudenza e mi chiedo se loro l’hanno fatto intenzionalmente oppure anche loro per prendere tempo per tranquillizzare i propri genitori. Prima c’era questa idea dei lavori più sicuri e il mestiere attoriale era visto come un oggetto oscuro e indecifrabile. Ora mi sembra che ci sia meno questa preoccupazione forse perché ogni mestiere, anche i più sicuri portano incertezza a causa della precarizzazione e della crisi economica. Questo porta, per fortuna o per sfortuna, decidete voi, ad una scelta dei ragazzi basata molto di più basata sulle loro passioni vista la costante incertezza in ogni ambito
Nella scelta della tua carriera abbiamo visto un grande studio per interpretare Aldo Moro, non solo due pellicole su questo personaggio ma anche un’opera teatrale sullo studio delle sue lettere durante i giorni di prigionia. Questa tuo lavoro minuzioso avviene per ogni personaggio?
Si tratta di un’occasione talmente unica quella di entrare nella pelle e nel corpo di un personaggio, di un ‘altro da te, da risultare folle. Se ci pensi ci vuole la follia dei bambini nei primi anni di età: quando si gioca a diventare qualcun altro. Mi ricordo il mio maestro Orazio Costa (insegnante di Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Pierfrancesco Favino) che puntava molto nel suo metodo nella capacità di risvegliare l’istinto mimetico che hanno i bambini nei primi anni di età fino al momento in cui la società, la famiglia, la scuola, le convenzioni iniziano a “stringere le tenaglie sul corpo” del bambino che si deve civilizzare e quindi arrivano una serie di input di norme e comportamenti accettati da tutti che devono essere rispettate. Un interprete tenta di recuperare quell’età dell’oro. Tenta di ritornare a quell’età in cui il tuo corpo può diventare qualsiasi cosa.
Quanto mi piace ogni volta approfondire il vissuto dei personaggi che interpreto? Questo “gioco” è talmente bello che vale la pena giocarlo fino in fondo. Se c’è da interpretare un personaggio realmente esistito è un’occasione meravigliosa per entrare totalmente in quella vita e perciò spesso non solo cerco di documentarmi su quel personaggio ma spesso, non sempre, studio quello che loro avevano letto. Per esempio, per Basaglia sentivo che avevo la voglia e la necessita di approfondire le sue letture che lo avevano portato a decidere di fare quel tipo di psichiatria rivoluzionaria. Altre volte c’è un approccio più istintivo ma questo deve essere supportato sempre da un lavoro di ricerca sul personaggio. Dopo che l’hai studiato a fondo può dimenticare ciò che quella figura ha fatto dando la sua interpretazione personale. Se ci si limita ad un lavoro troppo di studio, nel migliore dei casi, si fa un lavoro scolastico. Quando si lavora con personaggi che hanno lasciato un’impronta molto positiva la sfida è quella di andare a cercare gli angoli, non dico negativi, ma più umani. Cerco le sfaccettature della loro esistenza. Il pericolo facendo dei personaggi dal grosso valore sociale è quella di fare dei “santini”, degli individui senza macchia, che è la peggiore cosa che un attore può fare nei confronti del personaggio che mette in scena.
Con il tuo lavoro di ricerca fatto su Aldo Moro hai messo alla luce un uomo complesso, non solo burocrate ma un essere umano con le sue debolezze e le sue pulsioni. Dopo tre lavori fatti su questo personaggio non hai nutrito una forma di ammirazione verso di lui?
La morte di Moro ha cambiato le sorti della nostra nazione per cui è ovvio che sia un personaggio da analizzare. Non utilizzerei il termine ammirazione, ammirare significa rimanere schiacciato da una personalità, utilizzerei più il termine fascinazione. Durante i miei studi ho potuto analizzare le lettere che lui ha scritto durante la prigionia e da lì che ho visto un uomo profondamente diverso dal simbolo istituzionale che si portava dietro. Scoprire un Moro umanamente furioso verso i suoi compagni di partito che l’avevano tradito mi ha permesso di vederlo sotto una visione differente, più vicina. Una visione complessa di un uomo di stato.
Secondo te il cinema può assumere il ruolo d’insegnante di storie di vite? Esiste ancora un cinema politico?
Sul cinema politico la penso come la intendeva Gian Maria Volontè: tutto il cinema è politico! Perché riesce ad instaurare un rapporto con la Polis. Fonda un rapporto con i cittadini. Fin dall’epoca greca con il teatro antico. Queste arti visive creano una fascinazione, un legame di catarsi per cui tu ti rispecchi in ciò che vedi creando un legame tra te e la pellicola. Poi ci sono i film di genere politico ma questo è un discorso non significativo. Il genere politico è come il giallo, come un film romantico è una tematica generale legata alla scuola. Il cinema non si può sostituire ai luoghi di studio. La storia e lo storico fanno un lavoro minuzioso, di ricerca e di pazienza. Il cinema parla al campo della creatività si racconta una storia da un punto di vista ben specifico. In ogni film rivive la storia di Erodoto e di Omero: il primo è uno storico che racconta gli eventi in maniera oggettiva mentre Omero racconta la una storia dando un suo punto di vista creando un racconto. Quasi sempre vince Omero. La creazione, l’immaginazione, l’epicità, la guerra di troia te la racconti attraverso la storia di Omero. Il Cinema può essere molto amico alla storia ma non può sostituirla. Esterno Notte è la creazione di Marco Bellocchio, si tratta della sua interpretazione alla storia. Il regista illumina alcuni particolari che la storia non noto, viceversa la storia indaga aspetti a cui il cinema non interessa.
Quale storia il cinema dovrebbe interpretare?
Io sono stato sempre affascinato dalle voci. Da bambino ero discreto ammiratore perché ero affascinato al modo in cui parlavano le persone. Per un periodo ho pensato ad una storia che avesse a che fare con la vita di Alighiero Noschese che fu un grandissimo imitatore trasformista degli anni ’70. Una storia di un imitatore di voci che rimane imprigionato da questa ossessione. Forse questa fascinazione nasce da un episodio della mia infanzia: Da piccolo chiamai più volte mia nonna imitando un suo vecchio zio così bene fino a che lei non ci credette. Da lì nacque la mia voglia di essere attore.
di Quinto De Angelis